“Per due anni hanno detto niente stranieri, ora conferma che l’Italia ne ha bisogno”. “Il Pd deve portare nuovi cittadini in Parlamento”
Roma – 31 gennaio 2011 – “Questi flussi sono la clamorosa smentita della politica del governo, che per due anni ha chiuso i rubinetti degli ingressi regolari gridando “stop ai lavoratori immigrati, prima gli italiani”. Una campagna che ha fatto gravi danni, e ora la forza dei fatti costringe il governo a fare retromarcia”.
La pensa così Livia Turco, responsabile immigrazione del Partito Democratico, nel primo dei clic day che dovrebbero far arrivare in Italia (o regolarizzare) centomila lavoratori immigrati.
Meglio tardi che mai?
“Non credo che questo basterà a risolvere i problemi di domanda di lavoro immigrato che c’è nel nostro Paese. Ed è grave che il decreto flussi non sia passato nelle aule parlamentari e che tutto sia stato fatto al di fuori della programmazione delle politiche migratorie prevista dal testo unico sull’immigrazione. Una vera programmazione è indispensabile per governare l’ immigrazione legale e combattere le paure dei cittadini”.
Lei parla di domanda di lavoratori stranieri. Ma non c’è, piuttosto, per l’ennesima volta, il bisogno di dare un permesso di soggiorno a migliaia di clandestini?
“Ci sono entrambe le cose. C’è la domanda di nuovi lavoratori immigrati, ma anche l’esigenza di regolarizzare molti irregolari. Irregolari che non sono delinquenti, ma semplicemente il risultato della combinazione tra lo stop agli ingressi regolari e la complessità delle procedure, che spingono aziende e famiglie ad assumere in nero”.
Voi avevate chiesto in Parlamento una nuova regolarizzazione.
“Noi abbiamo presentato un ordine del giorno e un disegno di legge per una regolarizzazione mirata in settori con più richiesta di lavoro immigrato e forti aree di irregolarità, come quelli agricolo e manifatturiero. Di fatto vorremmo estendere ad altri settori, individuati dal governo, la regolarizzazione già fatta per colf e badanti. Insisteremo ancora su questo”.
I flussi non rispondono già a questa richiesta?
Sì, ma sono una risposta parziale e insufficiente. Tra l’altro, i lavoratori che sono già qui dovranno tornare in patria a prendere il visto, con un aggravio di procedure, costi e fatiche.
Sono partiti i primi testi di italiano per le carta di soggiorno. È giusto chiedere agli immigrati di imparare la nostra lingua?
Credo di sì. Soprattutto, è una grande opportunità che deve essere data a tutti gli immigrati, un tema che non deve ridursi solo al test. Noi vogliamo un piano nazionale per l’insegnamento della lingua e della cultura italiana agli immigrati, con corsi gratuiti organizzati dagli enti locali. Gli immigrati devono essere sollecitati a seguirli, devono averne le opportunità e non deve essere lasciato tutto sulle spalle del volontariato o dei Centri territoriali permanenti, già colpiti duramente dai tagli alla scuola pubblica.
Chi lavora come potrebbe trovare il tempo di imparare anche l’italiano?
Il nostro piano prevede anche che le aziende promuovano i corsi e che gli immigrati possano seguirli all’interno delle centocinquanta ore di permessi retribuiti previste per motivi di studio.
Chi pagherebbe i corsi?
Abbiamo previsto uno stanziamento 30 milioni di euro dal 2011. Deve esserci un fondo pubblico a cui concorrono governo e regioni, si può prevedere inoltre che vi confluiscano risorse private e parte di contributi versati dagli stessi lavoratori stranieri all’inps.
La direttiva europea sui rimpatri non è stata recepita in tempo e ora diverse procure stanno bloccando gli arresti dei clandestini. Che ne pensa?
Quella direttiva è una smentita clamorosa della Bossi-Fini, bisogna cambiare la legislazione italiana e questo è un duro colpo per la politica del governo. Non credo che la gestione di questo grande tema vada lasciata alla discrezionalità di magistrati che valutino e interpretino di volta in volta la direttiva. Bisogna prenderne atto e adeguare subito la legislazione italiana.
Maroni ha annunciato contromisure. Crede che il governo si adeguerà?
Non credo, vedo purtroppo il rischio di un ennesimo braccio di ferro con l’Europa, come per altre norme del pacchetto sicurezza.
Il Pd ha stretto un accordo con il Psd romeno per coinvolgere i romeni in Italia, anche in vista delle elezioni amministrative. Inoltre vi siete impegnati a candidare un italo-romeno in Parlamento…
Quell’accordo è coerente con la nostra battaglia per il diritto di voto degli stranieri. Qui poi parliamo di cittadini europei, della più grande comunità nel nostro Paese, bisogna coinvolgerli direttamente nella vita politica. Non possiamo demandare tutto a proposte di legge e petizioni e aspettare che in Parlamento ci sia maggioranza per il diritto di voto. Intanto facciamo crescere la cultura della cittadinanza e della partecipazione.
L’Italia è pronta per un parlamentare romeno?
Penso proprio di sì, e credo che il Pd debba candidare anche persone originarie di altri Paesi. È una battaglia che ho sempre portato avanti e stavolta vorrei essere più ascoltata dal mio partito rispetto al passato. L’idea di una nuova Italia e di una nuova classe dirigente deve prevedere anche nuovi cittadini in parlamento, non soltanto uno.
Eppure qualche giorno fa Walter Veltroni ha puntato il dito contro i cinesi che votavano alle primarie a Napoli come se fossero la spia di brogli elettorali. Non stona un po’ con le dichiarazioni di principio del suo partito?
Quella è stata una battuta infelice, l’applicazione di uno stereotipo. Gli immigrati possono votare alle primarie e i cinesi in fila sono un segnale di integrazione nel nostro Paese, testimoniano la voglia di partecipare. Io, diversamente da Veltroni, ho pensato che chi è riuscito a portarli alle urne ha fatto un buon lavoro con la comunità cinese.
Elvio Pasca