Roma – 9 maggio 2013 – Eusebio Haliti ha ventidue anni ed è una promessa dell’atletica leggera italiana. Lui però è diventato italiano per legge solo un anno fa, perdendo per un pelo la possibilità di partecipare alle Olimpiadi di Londra.
“Era il 2000 quando io e la mia famiglia ci siamo trasferiti in Italia dall’Albania, precisamente da Scutari, città in cui sono nato. I miei genitori volevano un futuro migliore per me e la mia sorellina. Per due anni siamo stati a Pavia, ma poi ci siamo spostati a Bisceglie, in provincia di Bari, dove attualmente vivo”.
“Ricordo ancora l’emozione della prima volta in cui ho raggiunto il primo posto sul podio, erano gli studenteschi provinciali, non era una gara molto importante, ma per me è stato come vincere i mondiali. Poi nel 2007 è arrivato il mio primo titolo italiano juniores nella mia specialità: i 400 metri ad ostacoli”.
Da quel momento in poi la carriera di Eusebio è tutta in ascesa e fino ad oggi ha conquistato ben sette titoli italiani e quattro record italiani che non gli furono riconosciuti perché in quel momento non aveva ancora ottenuto la cittadinanza.
“Questo è la prova che nello sport, se non sei cittadino del paese in cui ti alleni, non sei nessuno. Ho perso un sacco di opportunità come le Olimpiadi di Londra per le quali mi sarei potuto qualificare, ma mi sono sempre allenato, come se avessi la cittadinanza italiana. Quel giorno è arrivato, nel 2012, troppo tardi per le Olimpiadi, ma è comunque stata una grande vittoria”.
“La maglia azzurra l’ho indossata per la prima volta lo scorso marzo, agli Europei assoluti di Goteborg. In quell’occasione i giornali scrivevano che un quarto della nazionale italiana di atletica è composta da ragazzi che hanno recentemente acquisito la cittadinanza. Ma per me quell’acquisizione è recente solo sulla carta, noi lo siamo sempre stati italiani”.
“Forse a differenza di altri ragazzi italiani, atleti e non, io l’avverto di più la responsabilità di rappresentare l’Italia, perché me lo sono dovuto sudare quel pezzo di carta e fare parte della nazionale mi dà quella spinta in più nel raggiungere i miei obiettivi, sensazioni che non potrei sentire se dovessi correre per l’Albania. Non mi sentirei al posto giusto”.
“A differenza di altri sport l’atletica è ancora una disciplina pura in cui gli atleti vengono apprezzati per quello che sono e non per il team di cui fanno parte. Non c’è discriminazione nell’atletica e lo sport in qualche modo è lo specchio della vita, dove se ti impegni e fai dei sacrifici avrai dei risultati”.
“Finalmente l’Italia ha capito l’importanza dei ragazzi d’origine straniera che possono solo contribuire a migliorare il livello dell’Italia a confronto con altri paesi e a non vedere più gli stranieri come un ostacolo, ma come una risorsa. Spero che presto cambi la legge sulla cittadinanza, una legge blindata e che oggi non ha più alcun senso”.
Samia Oursana