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Eusebio Haliti: “Finalmente corro (e salto) per il mio Paese”

L’astro nascente della nostra atletica, cresciuto sulle piste di Bisceglie, veste la maglia azzurra solo da pochi mesi. “Una legge senza senso non mi ha fatto andare alle Olimpiadi”

Roma – 9 maggio 2013 – Eusebio Haliti ha ventidue anni ed è una promessa dell’atletica leggera italiana. Lui però è diventato italiano per legge solo un anno fa, perdendo per un pelo la possibilità di partecipare alle Olimpiadi di Londra.

“Era il 2000 quando io e la mia famiglia ci siamo trasferiti in Italia dall’Albania, precisamente da Scutari, città in cui sono nato. I miei genitori volevano un futuro migliore per me e la mia sorellina. Per due anni siamo stati a Pavia, ma poi ci siamo spostati a Bisceglie, in provincia di Bari, dove attualmente vivo”.

“Fu in occasione dei giochi della gioventù, le gare sportive scolastiche nel 2003, che misi piede per la prima volta nel campo sportivo di Bisceglie e da quel giorno sono passati dieci anni. Non ero tra i più bravi fra i ragazzi che andavano ad allenarsi, ma Antonio Ferro, l’allenatore, oggi anche mio grande amico e compagno di viaggio, insisteva sul fatto che io frequentassi il campo. Io non capivo la sua insistenza e un giorno gli chiesi: “ Ma perché continui a chiedermi di venire, sono sempre tra gli ultimi, non arrivo mai nemmeno terzo?” e lui mi rispose: “Sì è vero non hai ancora raggiunto buoni risultati, ma il fatto che ti arrabbi quando perdi che ti rende forte, sei testardo”. Sì, non avevo ancora sviluppato la mia forza muscolare, ma mentalmente avevo l’approccio giusto, quello agonistico”.

“Ricordo ancora l’emozione della prima volta in cui ho raggiunto il primo posto sul podio, erano gli studenteschi provinciali, non era una gara molto importante, ma per me è stato come vincere i mondiali. Poi nel 2007 è arrivato il mio primo titolo italiano juniores nella mia specialità: i 400 metri ad ostacoli”.

Da quel momento in poi la carriera di Eusebio è tutta in ascesa e fino ad oggi ha conquistato ben sette titoli italiani e quattro record italiani che non gli furono riconosciuti perché in quel momento non aveva ancora ottenuto la cittadinanza.

“Questo è la prova che nello sport, se non sei cittadino del paese in cui ti alleni, non sei nessuno. Ho perso un sacco di opportunità come le Olimpiadi di Londra per le quali mi sarei potuto qualificare, ma mi sono sempre allenato, come se avessi la cittadinanza italiana. Quel giorno è arrivato, nel 2012, troppo tardi per le Olimpiadi, ma è comunque stata una grande vittoria”.

“La maglia azzurra l’ho indossata per la prima volta lo scorso marzo, agli Europei assoluti di Goteborg. In quell’occasione i giornali scrivevano che un quarto della nazionale italiana di atletica è composta da ragazzi che hanno recentemente acquisito la cittadinanza. Ma per me quell’acquisizione è recente  solo sulla carta, noi lo siamo sempre stati italiani”.

“Forse a differenza di altri ragazzi italiani, atleti e non, io l’avverto di più la responsabilità di rappresentare l’Italia, perché me lo sono dovuto sudare quel pezzo di carta e fare parte della nazionale mi dà quella spinta in più nel raggiungere i miei obiettivi, sensazioni che non potrei sentire se dovessi correre per l’Albania. Non mi sentirei al posto giusto”.

“Ora mi preparo alle qualificazioni delle gare estive, non penso alle Olimpiadi di Rio, sto con i piedi per terra. Sto lavorando per i mondiali assoluti di Mosca che si terranno ad agosto”.

“A differenza di altri sport l’atletica è ancora una disciplina pura in cui gli atleti vengono apprezzati per quello che sono e non per il team di cui fanno parte. Non c’è discriminazione nell’atletica e lo sport in qualche modo è lo specchio della vita, dove se ti impegni e fai dei sacrifici avrai dei risultati”.

“Finalmente l’Italia ha capito l’importanza dei ragazzi d’origine straniera che possono solo contribuire a migliorare il livello dell’Italia a confronto con altri paesi e a non vedere più gli stranieri come un ostacolo, ma come una risorsa. Spero che presto cambi la legge sulla cittadinanza, una legge blindata e che oggi non ha più alcun senso”.

Samia Oursana
 

 

 

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