Roma – 7 marzo 2013 – “Le famiglie cinesi ricevono 200 mila euro dal governo Cinese per andare all’estero, vogliono conquistare il mondo!”. “C’è un accordo tra Roma e Pechino per cui ogni cinese che apre un attività è esonerato dalle tasse per tre anni”. “Hanno aperto un altro negozio, tanto è la mafia cinese che finanzia tutto”.
Queste sono le leggende metropolitane che Francesco Wu si diverte a scoprire, per poi lavorare sodo e abbatterle attraverso l’ Unione Imprenditori Italia Cina, l’ Associna e il suo ristorante (cucina italiana). Trent’anni, nato in Cina, cresciuto a Milano, è ingegnere elettronico e imprenditore, ma parallelamente alla sua professione è impegnato socialmente a trasmettere una nuova immagine dei cinesi in Italia.
Milanese nato in Cina. “Quando nel 1989 mi sono trasferito qui con la mia famiglia, c’erano pochissimi cinesi e stranieri, quindi per via di cose sono cresciuto assieme ai miei compagni italiani è solo al liceo che è iniziata la mia riscoperta verso la Cina, con cui ho ripreso i contatti”.
“Mi sono laureato al Politecnico in ingegneria elettronica e per diversi anni ho lavorato per alcune aziende italiane come loro rappresentante in Cina. Inizialmente ero entusiasta di lavorare nel mio Paese d’origine, ma in realtà è stato tutto molto difficile. La regione in cui lavoravo era diversissima da quella in cui sono nato. La Cina è molto grande e da una regione all’altra cambia tutto: il clima, la mentalità a volte anche la lingua. Ma la cosa che mi ha messo più in difficoltà è stato il fatto che i cinesi mi vedevano come l'italiano, mentre gli italiani mi vedevano come il cinese”.
Un ristorante italiano “Per diversi motivi non sono andati in porto i progetti che avevo con l’ultima azienda per cui lavoravo. In quel momento capii che nella vita nulla è sicuro e mi trovai davanti ad un bivio in cui dovevo scegliere cosa fare, anche perché era l’anno in cui era nato mio figlio. Avevo diverse opzioni tra cui trasferirmi in Cina a lavorare o essere dipendente di altre aziende in Italia, ma alla fine è prevalso il mio animo imprenditoriale. Nel 2008 ho acquistato con mio fratello un ristorante pizzeria di cucina italiana a Legnano”.
“Ho scelto di face cucina italiana perché mi permette di raggiungere un bacino di clienti più ampio e la cucina cinese è deprezzata e sinceramente non sentivo di avere niente di meno rispetto agli italiani. E pensare che nessuno avrebbe scommesso su di noi all’inizio, ci dicevano “ma figurati un cinese che fa cucina italiana, non ci verrà mai nessuno”, ma con le scelte giuste e le strategie d’impresa adatte oggi siamo un ristorante affermato e sponsor di una società sportiva locale”.
“Come sono passato dall’ingegneria alla ristorazione? Prima di tutto è una tradizione famigliare, i miei genitori hanno un ristorante e poi è un’ attività che nonostante la crisi ti permetteva di avere delle entrate, certo non è stato facile, è stata una sfida, ci siamo indebitati, è stato anche un azzardo, ma a distanza di anni possiamo dire che abbiamo fatto la scelta giusta”.
Social. “Oltre ad essere un imprenditore, porto aventi il mio attivismo sociale, oggi sono coordinatore di Associna in Lombardia e presidente di UNIIC. Associna è un associazione impegnata nella difesa dei diritti e nel protagonismo delle seconde generazioni cinesi, impegnata nella promozione dello scambio interculturale, mentre UNIIC è una realtà nata da meno di un anno dalla consapevolezza che noi imprenditori cinesi siamo sotto la lente d'ingrandimento e ci poniamo l’obiettivo di rilanciare l’immagine degli imprenditori cinesi in Italia, di favorire l’integrazione economica e aprire un dialogo con le associazioni di categoria e sopratutto abbattere gli stereotipi, i pregiudizi e tutte le leggende metropolitane sui cinesi e sulle loro imprese”.
“Vogliamo dimostrare che siamo persone in gamba, anche perché la nostra è una cultura molto tradizionalista e conservatrice dove c’è un forte senso del dovere e di ricambiare il sacrificio che i genitori hanno fatto per crescerti. C’è tanto merito e non abbiamo agevolazioni da nessuno, anzi, per noi, la strada è più in salita”.
Samia Oursana