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Cecile Kyenge se n’è andata… e con lei il Ministero per l’Integrazione

Roma, 24 febbraio 2014 – Il nuovo Governo, la cui colonna portante è il PD, ha deciso che i primi tagli da fare fossero sul fronte del numero dei Ministeri.

Beninteso, la UIL non ha pregiudizi, augura al nuovo Premier il massimo di successo, e giudicherà dalle scelte del Governo e soprattutto dai fatti. Ma, per cominciare, vorremmo semplici risposte sulle scelte indicate a livello di Dicasteri: non tanto perché ci interessa il gioco delle caselle, ma perché a noi sembra ne manchi una principale: il Ministero per l’Integrazione. Scegliere di continuare a frammentare le complesse politiche che finora sono state incapaci di governare una materia così complessa come l’immigrazione, non ci sembra un’idea molto brillante.

Da anni le competenze su questa materia vengono suddivise tra una miriade di Ministeri: Interno, Lavoro, Esteri, Istruzione, Sanità, ecc. Il tutto senza una cabina di regia capace di coordinare le politiche in materia seguendo una strategia chiara. Gli ultimi due governi avevano scelto di creare un ministero senza portafoglio e senza competenze: il Ministero per l’Integrazione. Non è stato facile per Riccardi e Cecile Kyenge lavorare in assenza di mezzi, personale e collaborazione da parte degli altri dicasteri: quello che traspariva, al contrario, era un’assoluta mancanza di coordinamento e poca collaborazione. Malgrado i quasi inesistenti mezzi messi a disposizione, i due titolari di questo Dicastero senza portafogli (e praticamente nullatenente)  hanno  fatto una battaglia soprattutto culturale, usando i mass – media, con l’obiettivo di spingere l’Esecutivo ad occuparsi di un problema annoso: l’incapacità cronica dell’Italia di governare i flussi migratori.

Da qui la campagna sulla cittadinanza, sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina, sul superamento dei CIE, sui rifugiati e sull’urgenza di riformare la Bossi – Fini: una legge odiosa che non ha mai funzionato. Sforzi – questi di Riccardi e Kyenge – che non hanno prodotto grandi risultati, certo. Ma questi sarebbero dovuti venire dal Governo nel suo insieme, che invece ha vissuto i flussi di rifugiati ed immigrati e le tragedie di Lampedusa nella logica improduttiva dell’eterna emergenza.

Possiamo capire che la scelta di un avere Ministero senza strumenti d’azione fosse solo un atto simbolico: dunque poco efficace per definizione. Ma simbolico (in negativo) lo è anche la scelta di  decidere la sua abolizione, senza proporre nulla in alternativa.

A nostro parere, cancellare il Ministero per l’Integrazione è un cattivo segnale, soprattutto visto il forte contributo che viene all’economia italiana dai nuovi cittadini.

Vorremmo ricordare al Primo Ministro in carica che gli immigrati producono l’11% del PIL,  dichiarano al fisco quasi 43,6 miliardi di € e pagano oltre 7 miliardi di euro in Irpef all’anno. Inoltre gli stranieri sono l’unica alternativa che gli italiani hanno al declino demografico ed economico del nostro Paese. Forse qualche diritto ad una governance seria ed a vere politiche di accoglienza ed integrazione  5 milioni di nuovi cittadini ce l’hanno. Altrimenti, in assenza di prospettive e lavoro, decideranno di andarsene. Molti già lo fanno e non è un buon segno per la salute della nostra economia.

La scelta giusta, a nostro parere, non può essere ancora la frammentazione delle competenze tra 5 o più ministeri e, dunque, una gestione disordinata del fenomeno migratorio. Secondo la UIL sarebbe ora di accentrare le competenze in un unico Ministero o almeno di creare una cabina  di regia capace di mettere ordine nel bailamme migratorio?

Non va bene il Ministero dell’Integrazione? Venga proposta un’altra soluzione efficace. Al contrario, l’attuale decisione di abolire quel poco che c’era, ci sembra la peggiore delle scelte.  
 

Giuseppe Casucci, Coord. Dipartimento Politiche Migratorie della UIL

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