Servono soluzioni eque e ragionevoli, per togliere alibi a chi specula sulla pelle disperazione. Di Giuseppe Casucci, Coord. Nazionale Dipartimento Politiche Migratorie UIL
Roma – 19 novembre 2010- A Brescia e Milano (ma la cosa vale per altre località) immigrati cui è stata respinta la domanda di emersione del settembre 2009 e che sono a rischio di espulsione, hanno ricorso a forme estreme di protesta. Le immagini della gru e della torre su cui si sono rifugiati esseri umani disperati, sono emblematiche del modo improvvisato e pasticciato con cui in Italia si affronta il problema dell’immigrazione.
Vediamo i fatti: il 3 agosto 2009 viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 102, con la quale si da’ il via all’emersione dal lavoro irregolare di quasi 300 mila colf e badanti. La normativa si è resa necessaria in quanto l’8 agosto stava per entrare in vigore la legge 94 che – introducendo il reato di immigrazione clandestina – avrebbe colpito in forma retroattiva anche chi era già in Italia, mettendo fuori legge gli immigrati irregolari.
Una parte della maggioranza non avrebbe voluto nemmeno la regolarizzazione del lavoro domestico, ma l’enorme necessità di colf e soprattutto badanti in questo paese che invecchia, hanno finito per avere la meglio sulle convenienze politiche spicciole. Purtroppo, però, nel nostro Paese ci sono almeno altri 600 mila lavoratori non “domestici” che sono rimasti fuori da quella che era di fatto una sanatoria settoriale.
Per ritornare alla legge 102, il dispositivo sospendeva eventuali procedimenti penali ed amministrativi in corso per datori di lavoro e lavoratori extra UE che aderivano alla “procedura di emersione”. L’accettazione della stessa doveva estinguere detti procedimenti. E’ ben noto che tantissime delle domande presentate erano di fatto fittizie, in quanto si trattava di richieste avanzate quasi sempre da famiglie a favore di lavoratori non domestici che vedevano nella regolarizzazione l’ultimo escamotage per uscire dalla trappola della clandestinità. Molti di questi finti “domestici”, non solo hanno versato all’INPS i 500 euro richiesti (in nessun caso rimborsabili), ma spesso hanno pagato a suon di migliaia di euro finti datori di lavoro che si prestavano al gioco, non certo per umana solidarietà.
Illusi da questo meccanismo, migliaia di lavoratori stranieri (anche precedentemente colpiti da decreto di espulsione) si sono messi alla ricerca di un datore di lavoro disponibile a fare la richiesta di emersione. La beffa, però, è arrivata molti mesi dopo con il respingimento della loro richiesta: o perché il lavoratore straniero era stato oggetto di una doppia espulsione o, soprattutto, perché molti presunti datori di lavoro non si presentavano a confermare l’assunzione. Moltissime questure, di fronte a situazioni personali a dir poco complicate si sono viste costrette a negare la regolarizzazione, oppure hanno consultato il Ministero dell’Interno per sapere cosa fare.
In effetti il dispositivo stesso non era chiaro. Nella legge 102/2009, infatti, si dice solo che è escluso dalla procedura di emersione chi ricade nell’ambito dell’art.12 del T.U. sull’immigrazione (scafisti e colpevoli di tratta), non si rifiutano esplicitamente gli immigrati con doppia espulsione. Da parte sindacale, a settembre 2009, sono anche state avanzate al sito del Ministero dell’Interno richieste di chiarimenti su chi era escluso dalla “dichiarazione di emersione”, ricevendo conferma che solo chi era colpevole di tratta o traffico illegale di migranti aveva la strada sbarrata. Poi, a marzo 2010, la circolare Manganelli decreta l’esclusione dalla regolarizzazione degli immigrati che abbiano subito la doppia espulsione (che prevede di per sé possibili condanne a pene superiori ai tre anni di reclusione). A settembre 2010, infine, il Consiglio di Stato ha sentenziato definitivamente a favore della circolare.
Noi non vogliamo entrare nel merito di decisioni prese dalla magistratura, anche se consideriamo il pacchetto sicurezza un insieme di norme fortemente discriminatorie nei confronti dei cittadini stranieri. Ci chiediamo però se sia equo e utile cambiare le regole del gioco, a gioco iniziato.
Non discutiamo naturalmente la necessità di rispettare la legge e siamo anche convinti che forme disperate di protesta – come quelle viste a Brescia e Milano – sono sbagliate in sé anche se comprensibili; attirano le speculazioni politiche da varie parti e, nel complesso, non aiutano a difendere i diritti di migliaia di lavoratori stranieri condannati alla clandestinità perpetua ed all’assenza di diritti dal pacchetto sicurezza. Come UIL abbiamo fin dall’inizio espresso un giudizio critico sul reato di clandestinità ed abbiamo esplicitamente chiesto al Governo di estendere la regolarizzazione a tutti quei cittadini stranieri che lavorano onestamente. Siamo anche convinti che la lotta al lavoro nero non si fa colpendo le vittime e che vada combattuto alla radice il meccanismo che richiama in Italia lavoro nero “etnico” a buon mercato, a danno dei lavoratori italiani e dei migranti regolari.
Purtroppo non sono pochi gli stranieri che rischiano l’archiviazione della loro pratica di emersione soprattutto perché, in genere, i datori di lavoro di comodo dopo aver intascato indebitamente i soldi degli immigrati, hanno la inurbana abitudine di sparire.
Facciamo allora una esplicita richiesta alle Pubbliche Autorità:
a) di estendere la regolarizzazione a tutti i settori produttivi, anche in forma individuale, sulla base di chi possa provare di avere un lavoro ed un datore di lavoro onesti;
b) di obbligare i datori di lavoro o le famiglie che non si sono presentate in questura a farlo: in caso non vogliano assumere l’immigrato, a questo deve essere concesso di diritto un permesso di sei mesi per ricerca di nuova occupazione.
Per quanto riguarda i casi di doppia espulsione, se essi sono anteriori all’entrata in vigore del pacchetto sicurezza non c’è modo di evitare l’allontanamento di chi ne è colpito. Se invece la doppia espulsione è conseguente all’introduzione del reato di clandestinità, noi chiediamo sia la magistratura a dire se l’allontanamento è inevitabile, o se sia possibile un atto umanitario, anche sulla base del radicamento sociale e la condotta del singolo migrante.
Chiediamo dunque all’Esecutivo di trovare soluzioni eque e ragionevoli, anche per togliere gli alibi a chi specula – anche politicamente – sulla pelle della disperazione.
Giuseppe Casucci
Coord. Nazionale Dipartimento Politiche Migratorie UIL