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Ddl 733 b, il rebus degli irregolari

Il reato di immigrazione clandestina mette a rischio l’esercito di lavoratori stranieri senza permesso presenti nel nostro Paese; inoltre coinvolgerà anche chi rimane senza lavoro.  Ancora: il combinato blocco dei flussi e criminalizzazione degli irregolari rischia di avere effetti esplosivi a livello di convivenza civile. E’ urgente riaprire il dialogo tra Governo e parti sociali per la ricerca di soluzioni efficaci, eque e praticabili

di Giuseppe Casucci, Coord. Nazionale UIL Politiche Migratorie

8 luglio 2009 – Il ddl sicurezza è diventato legge e sarà di certo operativo entro luglio. E’ difficile ora – a caldo – fare una valutazione esaustiva sull’impatto che le nuove norme avranno sullo status di oltre 4 milioni di cittadini stranieri regolari e sul calcolato altro milione di stranieri presenti irregolarmente, che lavorano e vivono accanto a noi.

Alcune possibili conseguenze, comunque, sono palesi alla luce anche delle contraddizioni lasciate irrisolte o aggravate dalla nuova legge.Una legge non uguale per tutti

Il sindacato ha più volte denunciato il rischio della creazione di una normativa separata ai danni degli immigrati: una diversità di status legale tra italiani e non e (tra gli stranieri) tra chi ha il permesso e chi non ce l’ha. Il rischio è quello di scivolare, in nome della sicurezza, verso un quadro di norme “etniche” da applicare a chi non è nato qui da noi.

Sono già presenti nelle norme ripetuti esempi di discriminazione “indiretta”: dall’impossibilità di votare, all’impossibilità di partecipare a concorsi pubblici; dall’esclusione dal bonus bebè alle differenze in termini di trattamento previdenziale, per fare solo alcuni esempi. Oggi – col pacchetto sicurezza – si aggiunge l’aggravante di clandestinità che mette in discussione il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e punisce con un terzo in più della pena, chi commette un reato in condizione di irregolarità.
Il clandestino, dunque, viene punito più severamente di un immigrato regolare o di un italiano, non per qualcosa di peggio che abbia fatto, ma per la sua condizione non regolare sul suolo italiano. Un’aberrazione giuridica discutibile noi crediamo sul piano della costituzionalità.

Una legge contro i clandestini, ma anche contro l’idea di immigrazione

Non c’è dubbio che il dispositivo approvato è mirato principalmente a colpire  la clandestinità.

Norme che per gli irregolari vietano la possibilità di contrarre matrimonio, vietano lo studio oltre l’età dell’obbligo, rendono impraticabile l’utilizzo di canali regolari per mandare soldi a casa, vietano l’accesso ai servizi pubblici, negano il diritto ad un contratto di affitto; prevedono il trattenimento nei Cie fino a sei mesi e la possibilità di espulsione senza il nulla osta del magistrato: il tutto  punta a fare terra bruciata attorno a chi è senza permesso e a produrre un supposto effetto di deterrenza  per chi è ancora fuori.
Ma altre norme approvate appesantiranno le condizioni anche di chi il permesso ce l’ha. E cioè: tempi più lunghi e condizioni più difficili per avere la cittadinanza; test di italiano per avere la carta di soggiorno; aumento a 200 € dei costi per avere il permesso o per richiedere la cittadinanza; sottoscrizione per l’immigrato di un “accordo  d’integrazione”, con un punteggio a scalare fino all’espulsione per chi arriva a zero; classi d’ingresso per i bambini stranieri appena arrivati.

Sul fronte dei ricongiungimenti l’azione del Legislatore è più sottile, ma ugualmente devastante: viene eliminato infatti il meccanismo del silenzio assenso che scattava quando l’Amministrazione non rispondeva dopo sei mesi alla richiesta di nulla osta. In questo modo solo attraverso il ricorso al tribunale diventa possibile obbligare l’Amministrazione (che non lo abbia fatto nei tempi stabiliti) a dare comunque una risposta, con grave spreco di soldi e tempo.

Il clima che si respira, e che la legge rende concreto, è quindi quello della  separazione tra due livelli di società (quella indigena e quella etnica) con effetti potenzialmente letali sul piano dei processi d’integrazione e quindi della convivenza civile. Questo anche perché il messaggio che viene dall’alto, amplificato in negativo dai mass media, è di fastidio quando non di repulsione verso chi è diverso, immigrato o Rom che sia, ed in quanto tale viene assorbito e a volte praticato a livello individuale nei molti casi di insofferenza verso lo straniero, quando non di aperta xenofobia.

Il reato d’immigrazione clandestina ed i suoi effetti

Veniamo ora al principale provvedimento: l’Art. 10 bis (Ingresso e soggiorno illegale
nel territorio dello Stato). Questo nuovo reato introdotto crea una fattispecie prima non esistente penalmente. 

Secondo alcuni giuristi, l’ingresso o la presenza illegale del singolo straniero non rappresentano, di per sé, fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l’espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante: la relativa incriminazione, pertanto, assume un connotato discriminatorio “ratione subiecti”  contrastante non solo con il principio di eguaglianza, ma con la fondamentale garanzia costituzionale in materia penale, in base alla quale si può essere puniti solo per fatti materiali.

Così come è stata espressa, inoltre, la norma è sembra produrre retroattività negli effetti pratici.  In effetti, secondo molti giuristi il reato introdotto ha carattere di “costanza” in quando riguarda un’azione (il soggiorno) che dura nel tempo. E in effetti, l’art. 10 bis si applica non solo a chi entra illegalmente in Italia dopo l’entrata in vigore del nuovo dispositivo, ma anche a chi vi trattiene.
Il dispositivo dunque – secondo alcuni giuristi consultati – si applica anche a chi è già in Italia al momento di entrata in vigore della legge. Va anche aggiunto che, se uno è entrato eludendo il controllo delle autorità di frontiera, sarebbe comunque difficile stabilire la data effettiva d’ingresso . Vedremo se la 733 bis verrà precisata  in fase di applicazione ma, così com’è formulata va a colpire chiunque non sia in regola ed anche chi sia stato regolare ma non  lo è più a causa della perdita di impiego e l’impossibilità di trovarne uno nuovo entro sei mesi.

Non c’è dubbio, comunque, che centinaia di migliaia di stranieri che oggi lavorano e vivono nel sommerso vengono relegati in una sorta di limbo da cui rischiano di non poterne uscire, a causa della legge attuale che non permette né regolarizzazioni, né conversioni tra diverse fattispecie di permesso (salvo eccezioni limitate).

Si apre dunque il grande interrogativo sul che per questi lavoratori stranieri. Non è un caso se anche all’interno della stessa Maggioranza di Governo, c’è chi oggi avanza  l’ipotesi di una regolarizzazione (ma solo per le badanti): è evidente che il ddl 733 bis  lascia irrisolto il rebus  dell’esercito di irregolari, di fatto non facilmente espellibili soprattutto perché parte importante della nostra economia e società.

Sempre secondo alcuni esperti legali il “pasticcio giuridico” creato con l’introduzione di questo reato avrà pesanti conseguenze per l’intero sistema giudiziario. In effetti per tutti i fermati si dovrà aprire un nuovo processo il che andrà ad ingolfare maggiormente il già collassato sistema giudiziario; certo l’espulsione estingue il reato, ma non è così facile espellere e diventa impossibile senza il riconoscimento dell’irregolare e l’accettazione del Paese d’origine.
Inoltre espellere costa e la copertura finanziaria non sarebbe sufficiente per una mole di espulsioni potenzialmente enorme; ancora: nel caso di minori stranieri  (per legge non espellibili) il reato non si estinguerà e per molti la pena pecuniaria sarà di fatto inesigibile; dulcis in fundo, il contratto di integrazione manca dei criteri per i quali possono essere detratti i punti all’immigrato poco meritevole (il tutto è stato demandato ad un futuro dpr). La legge, a differenza di quanto accade in altri Stati europei, non prevede di offrire corsi di lingua o strumenti di integrazione vera.

Giudizio e proposte 
Dò un giudizio complessivamente negativo sul ddl 733 che, assieme all’attuale blocco dei flussi regolari, crea un dispositivo combinato che rende virtualmente chiusa ogni opzione di ingresso regolare in Italia per lavoro (se si escludono gli stagionali). Sono convinto che la via per combattere l’ingresso ed il lavoro in forma clandestina, passa attraverso una riforma della normativa che permetta davvero l’incontro fluido tra domanda ed offerta di lavoro.

Così com’è la situazione oggi, lo stesso rinnovo di un permesso prende tempi interminabili, rendendo di fatto non esigibile un diritto che la legge fino ad ora ha previsto venga garantito in venti giorni. Siamo anche convinti che il vero fattore di attrazione del lavoro nero immigrato sia proprio il quarto sommerso della nostra economia. Fino a quando non combatteremo con efficacia la domanda di lavoro nero, avremo sempre un’offerta corrispondente.

Non è dunque con misure draconiane e col “cattivismo” che si scoraggiano la miseria e la disperazione del quarto mondo: al contrario si finisce solo per degradare le già miserevoli condizioni di invisibilità ed assenza di diritti di chi è già una vittima prima dei trafficanti di persone e poi del caporale di turno.

Al contrario, bisogna incoraggiare l’immigrazione regolare, e prima ancora far emergere l’esercito di lavoro nero immigrato che è presente da anni e rischia di dover aumentare. La crisi economica, infatti, sta colpendo prima di tutti gli immigrati, che vanno ad ingrossare le fila dei disoccupati e dei futuri clandestini.

In questo senso, avanziamo alcune proposte:

a)    Come nel 2002 con la Bossi Fini, anche il ddl 733 rappresenta uno spartiacque con la situazione precedente. Come allora, chiediamo che venga data la possibilità di una nuova regolarizzazione per chi è già in Italia ed abbia un lavoro ed un domicilio dove vivere.  Se non è possibile la strada della sanatoria si può percorrere la via della valutazione ad personam;

b)    Usiamo più efficacemente gli ammortizzatori sociali per non licenziare, italiani quanto immigrati. Si possono anche pensare ad incentivi fiscali per le aziende che salvano posti di lavoro;

c)    Consideriamo l’indennità di disoccupazione come reddito valido per gli immigrati ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, e facciamo scattare i sei mesi per ricerca di occupazione solo dopo il termine di godimento di questo istituto;

d)    Limitiamo  i flussi d’ingresso alle esigenze reali del mercato del lavoro, ma non chiudiamoli. Si rischia altrimenti di dare il segnale opposto a quello dichiarato: quello di una Italia chiusa alla migrazione legale;

e)    Favoriamo percorsi di ritorno assistito, in forma volontaria, in alternativa all’espulsione o al trattenimento prolungato nei Cie.

L’OCSE ci avverte in questi giorni che la crisi economica colpisce soprattutto gli immigrati, ma che è un errore chiedere che essi ritornino nel loro Paese. Bisogna guardare al medio e lungo termine quando gli effetti della crisi si attenueranno e bisogna considerare soprattutto che, a causa del deficit demografico, si continuerà in  Italia  come in  altri paesi, ancora a lungo ad aver bisogno degli immigrati.

La scelta giusta da fare, allora, non è il blocco dei flussi né leggi draconiane per spaventare gli immigrati. C’è bisogno, invece, di una profonda riforma della normativa sull’immigrazione rendendo possibile e conveniente la migrazione regolare. Solo in questo modo si combatterà con efficacia la clandestinità.

Per questo è necessario riaprire da subito il dibattito tra Governo e parti sociali per trovare soluzioni condivise al tema dell’immigrazione e soluzioni ragionevoli, equilibrate ed umane  al  tema degli irregolari.

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