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Immigrazione, 10 proposte per un dibattito costruttivo

di Luciano Lagamba (Presidente Sei-Ugl) (Testo dell’intervento al convegno "Migrazione legale e coesione sociale" Rimini, 5 giugno 2008)

Quando si parla di immigrazione, si parla di tante cose. Si parla innanzitutto di integrazione. Ma si parla anche di sicurezza, di diritti e di doveri.

Si parla del nostro futuro. E’ un futuro che ci piace pensare fatto di società aperte e capaci di integrare la diversità, rendendola risorsa a cui attingere per crescere in uno scambio reciproco.

Alla base dello scambio c’è la comprensione. La comprensione nasce dall’ascolto. L’ascolto consiste nel capire il “filtro” dell’altro, cioè la sua cultura, le esperienze di vita, il credo religioso, la sua concezione della politica, i principi etici, i traumi psicologici che potrebbe aver subito, la sua concezione del rapporto fra uomo – donna e l’equilibrio di potere fra i generi, il valore della famiglia o del clan. In altre parole, la chiave di lettura con cui l’altro interpreta la realtà e i principi in base ai quali con cui interagisce.

La mediazione interculturale ci aiuta ad entrare “nel filtro dell’altro”, ci permette di vedere il mondo con i suoi occhi.

Questo è di fondamentale importanza in una società con oltre sei milioni di cittadini che professano diverse religioni. Grazie alla loro presenza, stiamo finalmente risalendo nella classifica che ci vedeva all’ultimo posto per tasso di natalità e ai primi posti “anzianità” della nostra società, e questo sia per effetto dei ricongiungimenti familiari che per effetto di culture che danno più valore ai bambini, la cui prima fonte di ricchezza è individuata nella “prole”.

Il mediatore culturale ci aiuta a comprendere questo universo che spesso pare impenetrabile o incomprensibile. Ma l’importanza di questa figura non sempre viene riconosciuta come tale. Anzi, la realtà è ben diversa: pur operando di fatto a stretto contatto con i cittadini immigrati negli Uffici relazioni con il pubblico (URP) di Comuni, ospedali, scuole, eccetera, il mediatore interculturale non è ancora riconosciuto formalmente né nelle statistiche Istat né tanto meno nei contratti collettivi nazionali.

Un vuoto che pesa. Per colmarlo, la nostra organizzazione sindacale si è attivata in due direzioni: proponendo il riconoscimento formale della professionalità e istituendo il Sindacato dei mediatori interculturali, guidato da un coordinamento nazionale composto da tre nostre dirigenti sindacali provenienti dall’Albania, dall’Ucraina e dall’Africa.

In sinergia con Stranieri in Italia, la nostra organizzazione sindacale si è fatta promotrice di una piattaforma di richieste che nelle ultime settimane è stata presentata agli operatori del Terzo settore e dell’Università per accoglierei i migliori contributi che potranno arrivare.

Siamo convinti che, su questa base, sia possibile raggiungere intanto il nostro principale obiettivo: far emergere la centralità della figura del mediatore interculturale nei processi di integrazione sociale ed umana.

Per fare questo, in primo luogo è fondamentale unificare i percorsi formativi per acquisire le necessarie competenze in materia di mediazione interculturale. Oggi, infatti, vi è troppa frammentazione, tanto che uno studio del nostro Istituto di ricerche economiche e sociali – disponibile sul sito internet del Sei Ugl – evidenzia come da regione a regione le regole cambino sensibilmente, a discapito degli operatori, ma anche dei cittadini stranieri che si rivolgono alle strutture operanti sul territorio.

Percorso formativo unico – almeno nelle sue linee generali – ma anche successivi approfondimenti comparto per comparto, con particolare attenzione al settore di impiego, dalla scuola alla sanità, dagli enti locali alla finanza: è questo il secondo step di un processo di inserimento del mediatore interculturale negli uffici pubblici e nelle aziende private, ad iniziare da quelle più grandi.

Il nostro auspicio, quindi, è che si avvii una fase di confronto, peraltro abbozzato con il precedente Governo, con il coinvolgimento di tutti gli attori interessati: Ministeri, Regioni, Autonomie locali, parti sociali, terzo settore, scuole, aziende sanitarie, istituti penitenziari.

In occasione di un nostro recente convegno sui minori stranieri in Italia, al quale hanno partecipato esperti nazionali ed internazionali, come organizzazione sindacale abbiamo promosso un “Decalogo per un dibattito costruttivo” in materia di immigrazione.

Si tratta di dieci proposte che nascono dall’esperienza sul campo e immediatamente praticabili, nella stragrande maggioranza dei casi a costo zero e benefici altissimi.

Al primo punto abbiamo posto l’istituzione di una cabina di regia governativa, in quanto, osservando ciò che accade sia a livello centrale che periferico, la mancanza di ogni minima forma di coordinamento vanifica la possibilità di ottenere i risultati sperati.

Competenze spacchettate orizzontalmente fra più Ministeri non contribuiscono a chiarire le dinamiche in atto, come anche il latente conflitto con le Regioni e le Autonomie locali rende difficile intervenire in maniera rapida, coerente e positiva.

Al secondo posto, abbiamo rinnovato l’appello a che la famiglia, quale nucleo fondante della società, sia opportunamente sostenuta fiscalmente e con servizi adeguati in modo da alimentare un ambiente sano in cui non proliferino gli ormai frequentissimi episodi di devianza minorile e di bullismo sempre più presenti nelle nostre città.

Accanto alle famiglie, ed è questo il terzo punto, un ruolo sempre maggiore deve essere dato alle rappresentanze: le organizzazioni dei lavoratori, le associazioni dei datori di lavoro, privato sociale in generale possono rappresentare il trait d’union fra le istituzioni e il cittadino straniero in un’ottica di integrazione.

Naturalmente il meccanismo funziona se ci sono le risorse economiche, per cui è necessario uno sforzo collettivo per orientare una parte maggiore del welfare verso i temi dell’integrazione e dell’accoglienza.

Legato al tema del riconoscimento della professionalità del mediatore interculturale, al sesto punto del nostro decalogo abbiamo inserito la scuola che rappresenta, da sempre, lo strumento per educare le giovani generazioni e farle crescere intellettualmente, per trasmettere un sistema di valori di riferimento, per apprendere i fondamenti del vivere comune attraverso lo studio dell’educazione civica.

All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, la grande sfida è stata quella di alfabetizzare il Paese; oggi è quella di integrare migliaia di cittadini stranieri, con usi, costumi, lingue diverse, in un tessuto sociale caratterizzato peraltro da una caduta dei valori di convivenza civica.

Una grande sfida che è fondamentale vincere in quanto è, prima di tutto, di civiltà, laddove a questa parola associamo la sua accezione migliore: quella di convivenza nella diversità.

Fra gli altri punti del nostro decalogo, non possiamo non segnalare la lotta al lavoro sommerso e ad ogni forma di sfruttamento.

Aggiungiamo poi la comprensione della realtà attraverso un potenziamento dell’uso di statistiche di genere, così da evidenziare le esigenze effettive manifestate nel territorio senza manipolazione dei numeri. Ricordiamo la necessità di politiche di accoglienza rispettose dei diritti universalmente riconosciuti; l’avvio di una campagna informativa, anche attraverso i mass media e nelle scuole, direttamente nei Paesi di origine per illustrare la normativa vigente in materia di immigrazione, le regole per l’accesso ai servizi socio-sanitari e la tutela nei luoghi di lavoro.

La sfida che il nostro Paese ha davanti è complessa. È possibile ottenere dei risultati concreti purché si comprenda l’importanza di due passaggi: dare certezze sotto il profilo istituzionale e fare rete.

Ciò significa trovare un accordo parlamentare ampio, condiviso anche dalle parti sociali, sulle regole di accoglienza e di permanenza nel nostro Paese, senza lasciarsi prendere la mano da provvedimenti strumentali in un senso o nell’altro. Significa anche mettere in comune le migliori esperienze di integrazione sociale ed economica nell’interesse di tutti, italiani o stranieri che siano.

Dicevamo all’inizio che quando si parla di immigrazione, si parla anche di sicurezza. A volte si pensa erroneamente che la violenza, i soprusi, lo spaccio di droga, la prostituzione siano dovuti unicamente alla presenza di persone che provengono da un altro Paese. Gli italiani hanno purtroppo la memoria corta. Hanno dimenticato troppo presto, come scrive Gian Antonio Stella ne “L’orda, quando gli albanesi eravamo noi”, che c’è stato un tempo in cui gli immigrati italiani erano considerati pezzenti o mafiosi. Pare poi che gli italiani abbiano bisogno di un capro espiatorio a cui addossare i nodi irrisolti di una società in cui non c’è il senso di legalità, non c’è certezza della pena (il che porta a delinquere italiani e stranieri, senza farsi troppi scrupoli), c’è una ipocrisia insinuante che da una parte esalta i valori della famiglia e dall’altra si mette in fila sulle consolari di Roma per comprare il sesso da una nigeriana o una rumena tenute in stato di schiavitù.

Il bisogno di sicurezza non è solo quello dei padovani che innalzano il muro di via Anelli. È anche quello degli immigrati che vengono picchiati selvaggiamente solo per il colore della loro pelle o l’accento e poi vengono gettati nel Po.

Scrive Malik, un giovane pakistano da circa otto anni in Italia con regolare permesso di soggiorno, imprenditore commerciale, interprete di diverse lingue e collaboratore del Sei UGL in qualità di mediatore culturale: “La sicurezza non è il nostro nemico ma il nostro alleato. In una città dove c’è assenza di sicurezza la vita diventa più difficile, soprattutto per le categorie più deboli; per i cittadini italiani che vivono nelle periferie o ai margini della scala sociale; per i cittadini immigrati, in massima parte onesti e pacifici, che vedono aumentare sospetti e pregiudizi di ogni tipo. Il concetto di sicurezza, a mio avviso, non deve limitarsi ad una mera questione di ordine pubblico. Sicurezza, per me, è vivere, rispettare, lavorare e creare lavoro, integrarsi”. 

Questa lettera ci porta a riflettere su un nodo importante: è interesse di tutti che i cittadini stranieri regolari possano godere di sicurezza e stabilità. Un immigrato che vive sicuro e stabile è anche un cittadino che promuove questi valori verso gli altri, verso la comunità in cui si inserisce.

Sicurezza e solidarietà sono un binomio inscindibile che può diventare ancora più forte nel momento in cui verrà esteso il diritto al voto anche ai cittadini immigrati. Attraverso la partecipazione politica ed amministrativa, il cittadino immigrato non percepirà più lo Stato come un ente astratto, pronto unicamente a controllare e reprimere. Con il voto si renderà concreta la possibilità di intervenire, anche condizionando, come è giusto che sia, l’indirizzo politico che i governi locali intenderanno dare al fenomeno immigratorio. Voto e sicurezza, quindi libertà e legalità sono i cardini della democrazia in Italia e in Europa.

Bisogna infine prendere atto che la sicurezza o, viceversa, l’instabilità, dipendono in gran parte dal grado di efficienza e ragionevolezza della disciplina sul rilascio e sul rinnovo del permesso di soggiorno. È doveroso sottolinearlo, proprio perché oggi siamo qui a ragionare su come Istituzioni ed Enti locali possano fare la loro parte sul cammino dell’integrazione. È per questo che si discute di riformare le norme attuali, le quali – soprattutto per gli irrigidimenti burocratici introdotti con la Bossi/Fini – non hanno certo dato buona prova di sé, provocando ritardi intollerabili nel rinnovo del permesso di soggiorno e costituendo un vero ostacolo all’integrazione.

L’amministrazione pubblica italiana si è rivelata – non solo per sua colpa ma anche per una insufficiente assistenza e formazione – incapace di adempiere i passaggi burocratici imposti dal legislatore. Per questo il Dipartimento di Pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno ha delegato ai Patronati il compito di aiutare i cittadini immigrati nella compilazione della modulistica necessaria per il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno.

E del regolare permesso di soggiorno l’immigrato non può proprio fare a meno. Su questo punto la legge italiana è chiara: solo se l’immigrato è regolare è di fatto equiparato al cittadino italiano. Lo dice l’articolo 2, comma 2 del decreto legislativo 286 del 1998.

Si tratta di un ribaltamento delle norme generali, per le quali si può concedere allo straniero la stessa posizione giuridica dell’italiano solo a condizione di reciprocità, cioè se nel suo Paese d’origine l’italiano è trattato alla stessa maniera. Il testo unico sull’immigrazione deroga rispetto alla norma generale mettendo al centro un altro dato: ciò che conta è se lo straniero sia o non sia regolarmente soggiornante in Italia. È un principio importante perché manda un messaggio chiaro: chi rispetta le regole avrà vita facile, cioè avrà diritti di cittadinanza anche senza la reciprocità (salvo casi eccezionali). Invece lo straniero irregolare sarà equiparato all’italiano solo a condizioni di reciprocità.

Con i protocolli d’intesa firmati con il Ministero dell’interno, il cittadino extracomunitario o i datori di lavoro che intendono assumere un cittadino extracomunitario dall’estero, o i richiedenti ricongiungimento familiare, possono finalmente utilizzare la via telematica evitando l’odioso procedimento cartaceo che aveva caratterizzato l’iter amministrativo precedente. Un notevole passo avanti. L’attuazione dei protocolli d’intesa sta dando esiti molto positivi.

Crediamo sia la strada giusta da seguire. È un modo per facilitare la vita a chi, con buone intenzioni e civiltà, viene in Italia per emergenza o per costruirsi un futuro. È una grande opportunità per un sindacato popolare e pragmatico come l’UGL, congiuntamente all’attività riconosciuta dal ministero dell’interno al patronato ENAS, che non fanno ideologia astratta ma servizio concreto alla collettività. Ed è un’opportunità anche per un Paese che ha bisogno di un’amministrazione pubblica efficiente ed aperta al contributo di soggetti sociali specializzati come i nostri.

Grazie                                                    Luciano Lagamba
                                                       Presidente Sindacato Emigrati Immigrati U.G.L.

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