Roma, 22 maggio 2012 – Con un decreto del governo arrivato ieri in Gazzetta Ufficiale i permessi di soggiorno temporanei per “motivi umanitari” (scaduti lo scorso 5 aprile) sono stati prorogati di altri 6 mesi. I permessi erano stati rilasciati per la prima volta il 5 aprile 2011 e riguardavano quasi esclusivamente i tunisini arrivati sulle nostre coste durante la primavera araba tra gennaio ed il 5 aprile 2011. Per tutti quelli arrivati dopo, il permesso non è mai stato concesso.
In particolare sono rimasti esclusi più di 25 mila lavoratori dell’Africa Sub-sahariana, fuggiti dalla guerra in Libia ed attivati in Italia nel corso del 2011. Per questi, e per gli altri immigrati nordafricani, si è aperta una vera e propria odissea, per l’assenza di un permesso che gli permetta di lavorare ed il vuoto completo in termini di prospettive.
Molti di loro sono stati spinti a fare domanda d’asilo: un percorso che viene quasi sempre rigettato dalle commissioni territoriali preposte ad esaminare la richiesta, per “assenza dei requisiti”. Molti altri sono semplicemente irregolari e soggetti a rischio di lavoro nero, emarginazione, rischio di espulsione in qualsiasi momento.
La UIL dà un giudizio positivo sull’attuale decreto del Governo, anche se considera la misura insufficiente ed inadeguata a rispondere alla complessità dei problemi. Abbiamo da tempo più volte sollecitato il Governo a pensare a soluzioni definitive per risolvere un problema che rischia di trasformarsi in una bomba ad orologeria.
Ci sono, a nostro parere, solo due possibili scelte davanti alle autorità: o queste migliaia di persone vengono in qualche modo regolarizzate ed integrate o si deve proporre loro una forma di ritorno volontario assistito nei loro Paesi.
L’espulsione di massa è fuori discussione: sia perché eticamente e moralmente inaccettabile, sia perché concretamente impraticabile anche in termini di costi.
Una soluzione potrebbe essere quella di dare a tutti un permesso per ricerca di occupazione per il periodo di un anno, dopo di che – a chi non è in grado di mantenersi in Italia – si potrebbe offrire la chance del ritorno volontario assistito con un’offerta economica non risibile. Per fare questo ci sono fondi Europei. Terza possibilità: contrattare con la Libia la possibilità di un ritorno di una parte di questi lavoratori, che già erano occupati in quel Paese prima della guerra.
Quello che non si può davvero fare è usare il meccanismo discriminatorio di due pesi e due misure (ai tunisini il permesso umanitario, agli altri no). E non si può nemmeno trascinare all’infinito una situazione che lascia queste migliaia di esseri umani in un limbo dal quale non vedono via d’uscita.
Giuseppe Casucci, Coordinatore Nazionale UIL Dipartimento Politiche Migratorie