Costi molto alti, prova di presenza e assenza di parità tra datore e lavoratore hanno fatto da detterrente. Il governo si sforzi di rendere la procedura più equa e fruibile
Roma – 3 ottobre 2012 – Le mezze misure, certo non soddisfano e possono sembrarci irragionevoli e sbagliate: ma non è peggio forse la scelta di non fare nulla? E’ questa, noi crediamo, la lezione che dovremmo trarre dai risultati insoddisfacenti che l’attuale procedura di emersione sta producendo; un meccanismo che avanza tanto a rilento da rischiare di mancare – tra 12 giorni – l’obiettivo minimo delle cento mila domande presentate. In effetti, la media dei primi 18 giorni è stata di 2.750 domande inviate al giorno. Se il trend dovesse seguire questo ritmo, arriveremmo appena alle 80 mila domande totali.
Certo c’è da mettere in conto il probabile rush finale, ma non c’è da farsi molte illusioni sulla possibilità di superare di molto quota centomila. Le ragioni la Uil le ha spiegate tante volte, da sola o assieme al Tavolo Immigrazione:
a) la procedura è molto costosa, tanto da provocare una deriva delle domande verso il più economico settore domestico, dove probabilmente ce la si può cavare con 2000 euro di spese in tutto. Abbiamo così, alla data di ieri 2 ottobre, 45.000 domande passate dal sistema informatico allo sportello unico, delle quali quasi 40 mila appartengono al settore domestico. Un terzo di queste sono fatte per lavoratori di Paesi (Marocco, Egitto, Pakistan, Tunisia, ecc,) notoriamente poco propensi a lavorare in quel settore. Da qui la logica conclusione di una scelta dettata non dalla domanda di mercato, ma dall’imperativo di risparmiare e non perdere troppi soldi, visto che spesso i costi delle regolarizzazioni vengono fatte pagare agli immigrati stessi;
b) L’obbligo di certificare la presenza in Italia al 31 dicembre 2011, attraverso documentazione fornita da un organismo pubblico, appare oltremodo irragionevole. Secondo il pacchetto sicurezza, la pubblica amministrazione era obbligata a denunciare l’irregolare che si presentava agli sportelli sprovvisto di permesso di soggiorno. Come pretendere ora che quegli stessi sportelli dovessero fornire documentazione ufficiale? In passato simili espedienti sono solo serviti ad ingrassare imbroglioni e faccendieri sempre pronti a far cassa sulla disperazione altrui. Una faq arrivata da ieri dal Viminale, allarga la casistica della documentazione agli abbonamenti di trasporto annuale, dove compaiano generalità e foto dell’immigrato. E’ ancora poco, ma è già qualcosa.
c) Il terzo punto che consideriamo un “deterrente” all’adesione alla procedura di “ravvedimento operoso”, è l’assenza di parità di trattamento tra lavoratore e datore di lavoro. Quest’ultimo – anche se va male la domanda – sarà comunque al riparo dal rigore della legge (a meno che non abbia colpe manifeste); il lavoratore straniero invece rischia l’espulsione, anche se non ha nessuna colpa sull’esito eventualmente negativo della domanda.
Tutto questo ed altri aspetti “discutibili” della procedura, stanno producendo dappertutto un comportamento confermato dai nostri uffici di Patronato in tutta Italia: su 10 persone che si avvicinano a chiedere informazioni, saranno una o due quelle che poi presentano la domanda. Ne deduciamo che l’area dell’irregolarità del lavoro etnico è ancora molto estesa, e che lacci e laccioli di cui è piena la procedura, rischiano di produrre l’effetto opposto alle intenzioni: che erano e rimangono quelle di permettere l’emersione maggiormente possibile dall’economia sommersa dei lavoratori stranieri.
Qualcuno ha scritto: sarebbe stato meglio non far nulla, piuttosto che fare tanto male. Noi crediamo di no, non siamo d’accordo con il tanto peggio, tanto meglio.
Per quanto incompleta, pasticciata e piena di limiti, l’attuale regolarizzazione in corso, iniziata il 15 settembre e che terminerà 12 giorni, è comunque un’occasione per uscire dalla trappola della clandestinità che condanna migliaia di persone la cui unica “colpa” sarebbe quella dell’aver voluto legittimamente sfuggire alla propria condizione di miseria, ma di averlo fatto “senza i documenti necessari”. Anche se sarà solo una piccola parte degli irregolari che ingrassano la nostra economia sommersa ad emergere, sarà sempre stata un’ottima cosa.
Perché un altro aspetto va detto: terminata la regolarizzazione, entreranno in vigore norme molto più severe contro chi sfrutta il lavoro etnico irregolare, e questo potrebbe avere effetti imponderabili, probabilmente nefasti per le stesse vittime del lavoro nero: sia in termini di peggioramento delle loro condizioni, oppure col pericolo di rimanere da un momento all’altro senza fonte di reddito .
Alle autorità dello Stato che gestiscono l’attuale regolarizzazione ed al Ministro Riccardi che ha “lavorato in solitudine” per dare questa occasione di emersione, suggeriamo di fare un sforzo per allargare le condizioni e per mettere nelle circolari (non solo nelle faq) quei piccoli miglioramenti che possono servire a rendere la procedura più equa e fruibile.
a cura del Dipartimento Politiche Migratorie UIL