di Luciano Lagamba, Presidente S.E.I. U.G.L.
Roma – 21 maggio 2008 – Mai come in questo momento, credo serva buon senso e una grande dose di responsabilità.
Come accade sovente, al cambio di governo si innescano aspettative spasmodiche in ordine a quelle che a ragione appaiono come le priorità del momento. Ecco, quindi, che si attende con impazienza cosa ha da dire il ministro di turno, con la certezza che una parte della politica avrà comunque qualcosa da obiettare, da criticare, mentre l’altra parte – quella che ha votato il ministro di turno – è pronta a difendere il provvedimento preso.
Questo approccio vale in generale, ma, con ogni probabilità, non vale per almeno un provvedimento, nel quale il popolo italiano si sta dimostrando molto più bypartisan dei suoi governanti e delle opposizioni parlamentari: la regolarizzazione di badanti e collaboratrici domestiche extracomunitarie.
Mentre si discute di introduzione del reato di immigrazione clandestina – che, detto per inciso, in alcuni Paesi europei (Gran Bretagna: reclusione fino a 6 mesi o ammenda fino a 5mila sterline, anche se raramente gli immigrati vengono processati, in quanto si procede direttamente alle espulsioni; Germania: fino ad un massimo di un anno di reclusione o ammenda; Francia: un anno di reclusione o ammenda fino a 3.750 euro, divieto di reingresso per tre anni; Grecia: fino a tre mesi, 1.500 euro e pena doppia in caso di recidiva) è già contemplato nel codice di diritto penale, per cui, al di là dell’essere d’accordo o meno, non sarebbe una novità assoluta -, si è fatto notare, in primis proprio dalla nostra organizzazione sindacale attraverso l’appello del nostro segretario generale, Renata Polverini, al neo ministro delle Pari opportunità, Mara Carfagna, che espellere delle donne, le quali onestamente e con dedizione accudiscono i nostri anziani, i bambini che non trovano posto negli asili o semplicemente la nostra casa, per il solo fatto che non sono in regola con il permesso di soggiorno, significherebbe creare dei problemi insormontabili per decine di migliaia di famiglie italiane.
I numeri confermano questa convinzione.
Le badanti e le collaboratrici domestiche in Italia si stimano siano circa 2milioni; di queste soltanto la metà è in regola, mentre esiste tutto un sommerso di mancanza di tutele e di diritti. Nell’ultimo decreto flussi, a fronte di 65mila ingressi per badanti e colf, le domande pervenute sono state 411.776; di queste solo l’11,6% è stato già evaso dai competenti uffici con un via libera positivo nel 54,9% dei casi. Le domande di regolarizzazione di badanti ed assistenti che non hanno ancora ottenuto il via libera sono, quindi, oltre 360mila. Questo significa che ci sono altrettante famiglie italiane che vorrebbero regolarizzare la posizione di questi cittadini stranieri – dei quali si conosce tutto: età, paese di provenienza, sesso, luogo di lavoro e di residenza – uscendo da una situazione di lavoro sommerso che non può piacere a nessuno, né ai diretti interessati, ma neanche all’Inps, all’Inail e a tutti gli altri soggetti istituzionali che scontano il fenomeno del lavoro nero.
Una lavoratrice regolarizzata è una certezza per chi dà lavoro a questa persona, ma anche per la società, in quanto emergere dal sommerso rappresenta il primo passo per una sempre maggiore integrazione.
Spesso si parla di un problema seconda generazione. Ebbene, il rischio di devianza si alimenta proprio lasciando nell’ombra i genitori. Cosa immaginate possa pensare un giovane, quando vede sua madre tornare da una dura giornata di lavoro – perché accudire un anziano malato è veramente difficile e complesso, ci vuole, come suol dirsi, il “pelo sullo stomaco” -, magari camminando radente ai muri ed abbassando lo sguardo davanti ad un carabiniere per la sola colpa di non essere in regola con i documenti?
Ripartiamo, quindi, da quelle 360mila domande, convinti come siamo – e con noi lo sono anche l’80% degli italiani che hanno risposto positivamente ai numerosi sondaggi effettuati su internet, ad iniziare da quello del Corriere della Sera – che chi ricopre un ruolo con una forte valenza sociale ha il diritto di poter vivere alla luce del sole e di potersi costruire un futuro più sereno a queste latitudini.
Poi possiamo parlare di tutto il resto, ad iniziare da azioni repressive nei confronti di chi delinque.
I cittadini onesti – italiani e non – vivono questi giorni con un crescente senso di insicurezza, ma anche con una forte disillusione, tanto che il Rapporto Eurispes rimarca come almeno il 30% dei reati subiti non viene neanche denunciato alle Forze dell’ordine. Paura di vedersi entrare dei ladri in casa, di essere scippati, di non trovare più la propria automobile: sono questi i timori maggiori, unitamente alle truffe (soprattutto al sud) e agli stupri (nel nord). Preoccupazioni confermate dai numeri, laddove si evince che per alcuni reati contro la persona e il patrimonio gli aumenti, fra il 2005 e il 2006, sono stati a due cifre: per i borseggi, +64% a Torino, +56,4% a Venezia, +43,6% a Roma; per i furti in abitazione, + 58,3% a Como, +43,6% a Rimini, +39,7% a Milano; per le rapine, +27,1% a Palermo, +21,6% a Genova, +21,4% a Catania.
Certezze, ma anche luoghi comuni.
Quattro italiani su dieci si dicono convinti che i reati siano commessi in larga parte da cittadini stranieri, mentre per il 47,6% sono commessi in eguale misura da italiani e stranieri. Ebbene, se andiamo a scorrere le statistiche del ministero della Giustizia, dei 157.593 reati ascritti a detenuti presenti negli istituti penitenziari il 31 dicembre scorso, solo il 24,5% è relativo a cittadini stranieri.
Siamo, quindi, convinti che serva recuperare una grande serenità d’animo, lasciandoci alle spalle frasi fatte, demagogia e preconcetti.
Chi rapina, stupra, sfrutta non ha carta di identità o colore di pelle; è e resta qualcuno che attenta ai valori fondanti di una società e per questo va perseguito.
Chi lavora, invece, ha diritto a vivere in pace e in prosperità.
Luciano Lagamba
Presidente S.E.I. U.G.L.