Sul permesso verrà scritto se è valido per lavorare. Si allungano i tempi di legge per rilasci e rinnovi. Domande per i flussi esaminate solo se ci sono ancora quote. Cancellata una norma discriminatoria per le assunzioni degli autoferrotranvieri
Roma – 7 aprile 2014 – Più chiarezza sui permessi che consentono di lavorare, tempi più lunghi (ma solo sulla carta) per la burocrazia dell’immigrazione, una nuova procedura per l’esame delle domande dei flussi. Ma anche la conferma che un immigrato ha tutto il diritto di fare l’ autista dell’autobus.
Sono alcune delle novità contenute nel decreto legislativo 40/2014, entrato in vigore ieri. Il testo dà attuazione alla “direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro.
Procedura unica e permesso unico, in realtà, in Italia esistono già: il permesso che viene rilasciato a chi arriva in Italia con i flussi, ad esempio, è già valido sia per lavorare che per soggiornare in Italia. Sostanzialmente, c’è anche parità di trattamento e diritti tra lavoratori italiani e stranieri, anche se rimangono differenze per l’accesso ad alcune prestazioni sociali, ma su questo fronte il decreto non interviene.
Il testo introduce però altri tipi di novità, a cominciare dall’inserimento della dicitura “Perm. Unico lavoro” sui permessi di soggiorno che autorizzano anche un’attività lavorativa . In questo modo un datore di lavoro saprà subito se può assumere un cittadino straniero arrivato in Italia per un motivo diverso dal lavoro (ad esempio grazie a un ricongiungimento), ma che comunque, secondo la legge, può cercarsi un’occupazione.
Rimangono delle eccezioni. Anche se, a determinate condizioni, permettono di lavorare, non avranno la dicitura “Perm. Unico Lavoro” i permessi di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo, per lavoro stagionale, per lavoro autonomo, per motivi umanitari, per rifugiati, per protezione sussidiaria, per studio e per alcune figure professionali che entrano in Italia al di fuori delle quote del decreto flussi.
Il decreto poi innalza da venti a sessanta giorni il tempo massimo entro cui, dal momento della domanda, dovrebbe essere rilasciato, rinnovato o convertito il permesso di soggiorno. E porta da quaranta a sessanta i giorni entro cui lo Sportello Unico per l’Immigrazione dovrebbe esaminare una domanda per i flussi e concedere il nulla osta all’ingresso del lavoratore in Italia.
È una norma che non farà sentire il suo effetto. Un allungamento dei tempi farebbe infatti scalpore se la pubblica amministrazione rispettasse quelli attuali: in realtà, come tutti gli immigrati sanno, i tempi per rilasci, rinnovi e conversioni dei permessi di soggiorno, o per le risposte alle domande per i flussi, oggi si misurano in mesi, a volte anche in anni.
C’è invece una novità che semplificherà il lavoro degli Sportelli Unici per l’Immigrazione. Le domande per le assunzioni dall’estero d’ora in poi verranno infatti “esaminate nei limiti numerici” stabiliti dal decreto flussi, e quelle superano questi limiti potranno essere esaminate solo “nell’ambito delle quote che si rendono successivamente disponibili”.
Cosa cambia? Terminate le quote, gli Sportelli Unici per l’Immigrazione potranno ignorare tutte le altre domande, senza più essere tenuti ad emettere e motivare migliaia di rigetti.
Il decreto elimina esplicitamente anche l’obbligo ad esibire il contratto di soggiorno per rinnovare il permesso per lavoro. Del resto, un vero e proprio contratto di soggiorno ormai viene stipulato solo al primo ingresso e quindi alla prima assunzione del lavoratore in Italia. Se poi cambia datore di lavoro, la “normale” comunicazione di assunzione contiene già le informazioni che erano previste dal contratto di soggiorno.
Infine, è stato cancellato un articolo di un Regio decreto del 1931 secondo il quale il personale di ferrovie, tramvie, autolinee e linee di navigazione interna doveva essere necessariamente cittadino italiano. Si tratta di una norma d’altri tempi, che già diversi tribunali avevano dichiarato implicitamente abrogata, perché discriminatoria. Molte aziende di trasporti, però, continuavano a ritenerla valida, escludendo gli stranieri dai loro bandi di assunzione.
EP