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Azeddine, dalle baracche di Casablanca ai capolavori di frutta a Rieti

Arrivato in Italia come clandestino dopo un viaggio avventuroso per nave, in treno e a piedi, oggi fa lo chef. “Avevo acqua, biscotti e un sogno, che nel mio piccolo ho realizzato”

Roma – 5 aprile 2012 – Azeddine El Hachemy è nato a Casablanca. Ha trentasei anni, quindici dei quali passati in Italia.

“Quando sono arrivato avevo con me solo acqua e qualche biscotto, ma anche la speranza e la voglia di diventare qualcuno” racconta ad Alitaliya.net. “Nel mio piccolo – aggiunge –  ci sono riuscito, infatti dopo tanti anni di sacrifici sono riuscito a diventare uno chef”. Oggi Azeddine lavora in un ristorante di Rieti.

La passione per la cucina è nata in lui da piccolo, “facevo il cuoco per i miei amici per farmi pagare le gite al mare”, ma negli ultimi anni ha sviluppato un’abilità straordinaria nella decorazione di frutta e verdura. Tra le sue tante creazioni, anche un’anguria trasformata nel volto di una donna marocchina con il velo tradizionale, “ho voluto omaggiare il mio paese di origine, che rimane sempre una parte importante di me”.

Ripercorre con noi la sua vita. “Il mio viaggio – dice  – era già destinato, da piccolo mia nonna mi diceva che il mio posto era lontano dal Marocco. Ho quattro sorelle e un fratello, abitavamo in una baracca, vedevo mio padre ogni sei mesi perché era nell’esercito. Mi sentivo quasi un peso”.

“Scendevo al porto per aiutare i pescatori e guadagnare due euro al giorno. Non vedevo un futuro per me, ma mio amico Hamid  con le sue parole ha fatto nascere in me la voglia di andare via. Ogni volta che stavo per partire pensavo però alla mia mamma e il forte legame che ho con lei mi fermava”.

È andata così fino a un sabato di marzo del 1996. “Vendevo le sigarette davanti al porto, è arrivato Hamid e mi ha detto che quella sera sarebbe partita una nave per la Spagna che si chiamava Fes. Ci siamo imbarcati di nascosto, chiusi in un container per quindici ore,  poi siamo usciti in un camion che andava verso Malaga”.

Il viaggio finisce male, Azeddine  viene fermato dalla polizia spagnola, rinchiuso in un centro di accoglienza e rispedito in Marocco. “Però avevo visto per la prima volta l’Europa e me ne ero innamorato” dice lui, e infatti dopo un anno ritenta la traversata, questa volta su una nave diretta a Marsiglia: “Nascosti sotto sacchi di patate, avevamo con noi due pacchetti di biscotti e due bottigliette di acqua da mezzo litro, una delle quali poi l’abbiamo persa”.

Dalla Francia, un altro viaggio avventuroso verso l’Italia insieme a un compagno. “Dopo aver elemosinato un po’ di soldi,  siamo riusciti a fare un biglietto del treno fino  a Ventimiglia, ma ci hanno consigliato di scendere a Montecarlo e di andare a piedi fino a Sanremo perché c’erano i controlli. E così abbiamo fatto, percorrendo tutta la galleria dei treni a piedi”.

Azeddine raggiunge Torino (“era la città più nominata dai miei compaesani”), ma si ritrova in una situazione di degrado. “C’erano molti spacciatori, pochi lavoravano regolarmente, era peggio che nel mio quartiere. Nell’estate del 97 sono riuscito però ad andare via di lì perché tutti volevano andare a mare, e sono arrivato a Rimini, dove ho conosciuto un ragazzo che mi ha portato a Pesaro dove ho iniziato a lavorare regolarmente”.

La sorte, da quel momento, gli sorride. “Si è aperta la sanatoria nel 98, dopo circa un anno sono riuscito ad avere il permesso di soggiorno. Oggi posso dire di essere fortunato, perché ho vicino a me Paola, una persona eccezionale che mi ha regalato tre piccoli angeli Jalilah, Jibrail e Ibrahim”.

Lala Zineb Maarouf Dafali (Alitaliya.net)

 

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