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I tormenti di Cheikh Omar Gaye

Si intitola così la terza raccolta di poesie del poliedrico artista senegalese in Italia. “Di qualunque razza siamo, possiamo parlare con una sola voce”

 

Roma – 17 giugno 2011 – Scrittore,, poeta, regista teatrale. Il senegalese Cheikh Omar Gaye ha debuttato da giovane in Senegal. Dopo molte realizzazioni in patria, ha deciso di scoprire l’Europa. Ora ha pubblicato la sua terza raccolta intitolata «Callweer» (Tormenti), stampata in due lingue : francese e italiano.

Ci parli di te e del tuo percorso artistico?

Già da piccolo facevo della poesia senza accorgermi perchè a 12 anni, riuscivo ad inventare delle belle storielle e catturare l’attenzione del vicinato. Ma è nel 1985, verso la fine del mio servizio di leva, che ho cominciato a buttar giù qualche riga; soffrivo nel non poter esteriorizzare ciò che sentivo nel profondo. Nel 1986, sono riuscito a scrivere il mio primo poema, intitolato «Njureel», dedicato alla mia brava madre. E così ho preso il via. Sono stato invitato a “Radio Kaolack” dove registravo molte poesie che venivano trasmesse regolarmente dall’emittente.

Poi è arrivato il teatro

Qualche mese più tardi, mi sono unito alla compagnia teatrale “Bamba Moss Kham” (sezione B). Un anno più tardi, ho deciso di metter su la mia propria compagnia, chiamata «Pencum Altiné». E così ho preso l’iniziativa di formare i giovani del quartiere all’arte teatrale. Di colpo, tutta la città iniziò ad interessarsi a ciò che facevo e mi invitavano un pò dappertutto per recitare in pubblico delle poesie su vari temi. Poco dopo, fui chiamato per fare il regista presso la compagnia «Bamtaare» che ho raggiunto con tutti i membri della mia compagnia.

Come sei arrivato in Italia?
Nel 1994 ho  participato alla 4a edizione del Festival Internazionale del Teatro per lo Sviluppo in Burkina Faso. Ci sono tornato, due anni dopo, per vincere con la mia compagnia («Bamtaare») una tournée europea che ci ha condotto in Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Al ritorno ho deciso di lasciare «Bamtaare» insieme ad altri tre membri con cui ho creato l’ATS (Atelier Teatro Senegalese), compagnia con la quale troupe abbiamo effettuato numerose tournée in Europa. Dal 2000, mi sono stabilito in Italia dove continuo a fare teatro con la compagnia che ho creato insieme ad un gruppo di amici e che si chiama «Tukki».

Perchè hai intitolato tua raccolta di poesie “Tormenti?”?
Per quanto riguarda il contenuto della raccolta di poesie, direi che è una cosa logica perchè il «tormento» non può superare il fatto di subire il razzismo e tante altre ingiustizie declamate in questo libro, che è il terzo dei miei. Il primo, intitolato «Kiraama» (Miracolo), fu pubblicato in Senegal, nel 1996, con il sostegno del defunto sindaco di Kaolack, Abdoulaye Diack. Il secondo è la prima versione di «Tormenti», pubblicato nel 2000, in lingua francese e “wolof”, con la casa editrice “Culture croisée” di Parigi.

Che temi affronti?
Sono dei temi piuttosto impegnati quali l’infibulazione, le violenze contro le donne e i bambini, il razzismo, lo stupro, ecc. Ciò che mi ha ispirato è soprattutto il fatto di portare la mia pietra all’edificio in modo che nel mondo, di qualunque razza siamo, possiamo parlare con una sola voce.

E’ stato facile per te pubblicare un libro in Italia?
Mi ci è voluta sopratutto molta pazienza perchè ho appena chiuso il mio primo ciclo di dieci anni in Italia. Approfitto dell’occasione per ringraziare al volo Samba M’bow e sua moglie Bourry Kande per il sostegno che mi hanno dato nella realizzazione di questo libro. E mille grazie anche a Mercia Pellicioni.

Ndèye Fatou Seck

Africanouvelles.com

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