Roma – 6 luglio 2011 – La nona edizione di Corso Polonia, Festival Polacco delle Arti Unite a Roma, ha ospitato nei giorni scorsi le fotografie della polacca Maria Stefanek. La mostra è stata dedicata ai Rom del campo nomadi Casilino 900, ormai sgomberato, del quale l’artista ha fotografato la vita per un anno.
Maria Stefanek è arrivata a Roma alla fine dei anni ‘70. Da 25 anni lavora come traduttore giurato e nel tempo libero scatta foto.
Al campo “Casilino 900” è arrivata per caso. “Alcuni anni fa organizzavano là le cosiddette Giornate aperte – dice – in questo modo mi sono avvicinata ai Rom. Mi sono anche resa conto da subito che le persone che erano presenti durante le Giornate erano collegate sempre con il mondo dei Rom e ho notato che gli italiani non hanno alcun interesse per la cultura rom. Come “persone normali” abbiamo paura degli zingari e vogliamo evitarli”.
Secondo l’artista, i Rom sono una comunità chiusa, gelosa della segretezza di tutto ciò che accade al suo interno. “Se qualcuno di loro va contro questa legge interna rischia l’esclusione sociale. Non c’è da stupirsi, perché come tutte le società tribali, hanno i loro segreti, che cercano di proteggere. Su questi segreti e sulle tradizioni si basa la loro sopravvivenza, specialmente nel caso degli Zingari, un gruppo etnico, che è stato sempre perseguitato”.
Nel campo più grande d’Europa la vita dei Rom non era facile, soprattutto quando il comune ha deciso di togliere l’allaccio di acqua ed elettricità. Nonostante questo, molti di loro ora vorrebbero tornarci. Dopo la chiusura del campo, sono stati tutti trasferiti alle nuove strutture, dove vivono in contener di 15 metri quadri circa. “Per me, stare al “Casilino 900” era l’ultima occasione per catturare il mondo vero dei Rom della Capitale, le loro tradizioni e la cultura” dice Stefanek.
Poche persone possono dire di aver conosciuto la comunità zingara dall’interno. A Maria Stefanek è successo. Ha fatto decine di scatti che mostrano vari aspetti della loro vita, sia sociale, culturale che religiosa. La fotografa era anche presente durante la chiusura del campo. “Spero che attraverso le mie fotografie, che mostrano l’immagine non stereotipica dei Rom, saremmo in grado ad avvicinarsi a questa società”.
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