Roma – 17 febbraio 2012 – È stato, come tanti, un clandestino. Oggi Noureddine Hilali è invece un punto di riferimento importante per tanti bambini italiani e per le loro famiglie. Allena infatti le piccole leve della società sportiva Mortara calcio, in provincia di Pavia.
Hilali è nato e cresciuto in Marocco. È originario della regione di Beni Mellal, da dove provengono (e dove tornano) così tanti migranti che un po’ tutti parlano l’italiano. Nel 2005, quando aveva ventisette anni, è toccato a lui fare i bagagli e partire pieno di speranze e sogni per il Belpaese. È arrivato a Mortara da irregolare, dopo essere approdato in Sicilia a bordo di un barcone”.
“I primi anni senza documenti – racconta ad Alitaliya.net – erano difficili. Nessuno ti conosce, nessuno ti ascolta, sei semplicemente un clandestino”. Un prezzo molto alto da far pagare a un giovane per cui la comunicazione e lo stare con i coetanei è una questione di vita o di morte.
“Ho cominciato come ogni ragazzo a giocare a pallone con gli amici e piano piano un raggio di sole ha toccato la mia vita fredda e scura. Poi sono riuscito a mettermi in regola, anche grazie all’aiuto della famiglia Frigato. E con i documenti è arrivata la salvezza: sono stato calciatore professionista e oggi sono allenatore”.
Noureddine Hilali si ritiene “l’esempio vivente che l’essere clandestino non vuol dire essere un delinquente. Non si può perseguire una persona senza dargli una possibilità, tra l’altro quando non hai i documenti non puoi nemmeno lavorare in modo onesto”.
Oggi vuole ringraziare chi gli ha teso la mano, aiutandolo e dandogli fiducia. “Senza i Frigato non sarei qui a raccontare un’ esperienza di successo, noi possiamo essere capaci ma ci deve essere chi ci dà fiducia per concretizzare il nostro cammino”.
“La mia storia – dice – è un esempio utile per chi si trova in clandestinità, perchè non bisogna abbattersi. Ma è anche un messaggio per incoraggiare gli italiani a non odiare il diverso” .
Lala Zineb Maarouf Dafali
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