Stefano Camilloni
Il leghista accusato di diffamazione aggravata dal razzismo. In aula l'ex ministra dell'Integrazione: "Non ha colpito solo me"
Bergamo – 30 giugno 2015 – Stamattina in Aula, al tribunale di Bergamo, Roberto Calderoli non c’erà. C’era però Cècile Kyenge, eurodeputata ed ex ministra dell’integrazione, vittima degli insulti che hanno portato il vicepresidente del Senato alla sbarra per razzismo.
Era il 13 luglio 2013 quando durante un comizio a Treviglio il leghista scherzò così: "Ogni tanto smanettando con Internet apro "Il Governo Italiano" e cazzo, quando viene fuori la Kyenge, io resto secco. Io sono anche un amante degli animali, eh, per l'amore del cielo … ma quando vedo uscire delle sembianze d'oranghi resto ancora sconvolto. Non c'è niente da fare!".
Quelle parole fecero il giro del mondo, ma nonostante le richieste di dimissioni il vicepresidente del Senato è rimasto al suo posto ed è stato graziato anche dalla giunta per le immunità di palazzo Madama, secondo la quale la sua fu una libera opinione espressa nell’esercizio delle sue funzioni. Intanto, però, la Procura di Bergamo ha chiesto e ottenuto di processarlo per diffamazione aggravata dalla discriminazione razziale.
Oggi c’è stata la prima udienza del processo. Calderoli non si è presentato e i suoi legali hanno tentato di far rimandare il processo in base a un "legittimo impedimento". Domanda respinta dai giudici, che invece hanno invece ascoltato Cècile Kyenge, chiamata a deporre come parte offesa.
"Calderoli – ha ricordato Kyenge – mi mandò dei fiori nel mio ufficio di ministro e mi telefonò anche, per chiedere scusa. Io umanamente, e personalmente, ho accettato le sue scuse. Ma mi sono resa conto che le offese andavano ben al di là della mia persona".
"La diffamazione — ha ribadito l’ex ministra — colpiva secondo me una comunità, anzi più d’una: la comunità italiana, di cui faccio parte, e la comunità degli immigrati, delle persone di colore in Italia".
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