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Censimento. Pittau: “Non hanno risposto tutti, pesano i nuovi irregolari”

Intervista al coordinatore del Dossier Caritas Migrantes. “Risultati provvisori e sottodimensionati. Serve però una riflessione seria sui permessi non rinnovati a causa della crisi economica”

Roma – 11 maggio 2012 – Erano quattro milioni e mezzo gli immigrati regolari iscritti all’anagrafe all’inizio del 2011, ma sono solo tre milioni e settecentomila quelli che avrebbero risposto (il condizionale d’obbligo, perché i dati sono provvisori) all’ultimo censimento. Ne mancano ottocentomila.

Franco Pittau, lei è il coordinatore del Dossier Statistico Immigrazione di Caritas e Migrantes. Un divario così grande le sembra normale?

“Si tratta di due rilevazioni molto diverse. I risultati del censimento possono soffrire di un sottodimensionamento, e in più i dati diffusi finora dall’Istat sono provvisori. L’anagrafe, invece, può soffrire di un certo sovradimensionamento, ad esempio per le cancellazioni che non vengono effettuate”.

Perché il censimento sarebbe “corto” sugli immigrati?
“Perché per quanto sia stato accurato il lavoro dell’Istat, non si può escludere che una parte dei cittadini stranieri non si sia resa reperibile e non abbia riempito il questionario, per motivi vari, che vanno dalla difesa della privacy alla scarsa informazione e a una certa diffidenza”.

Mi fa qualche esempio di chi potrebbe non aver risposto?
“Pensiamo magari a chi è arrivato da poco in Italia e certo a tutto pensa tranne che a riempire il questionario. Oppure a chi si trova in situazioni abitative che non vuole rendere note, ad esempio per un subaffitto in nero, e poi ci sono quelli con un permesso in scadenza che non sono sicuri di poter rinnovare. Se penso di diventare a breve clandestino, difficilmente fornisco informazioni utili per farmi rintracciare…”

Può quantificare, anche approssimativamente, gli immigrati regolari che non hanno risposto al censimento?
“No, non ne abbiamo gli strumenti. Bisogna innanzi tutto aspettare i risultati definitivi del censimento. Quindi, la disponibilità dei nuovi dati di altri archivi (si pensi, in particolare, ai visti e permessi di soggiorno) consentirà di procedere a un attento confronto. Detto ciò credo che vada preso maggiormente sul serio il mancato rinnovo dei permessi di soggiorno a seguito della crisi e che potrebbe spiegare, almeno in parte, il forte calo della presenza straniera regolare, così come viene attestato dai primi dati”.

Quanto può pesare questo aspetto?
“Più di quanti si pensi. La decadenza dei permessi è un allarme sottolineato a più riprese nell’ultimo Dossier Statistico Immigrazione. È vero che il permesso di soggiorno, a meno che non si tratti di quelli rilasciati ai lungosoggiornanti, è un documento destinato a cessare nella sua validità e, a seconda del tipo, a essere rinnovato o meno.  Nel caso però di soggiornanti per motivi di famiglia o di lavoro, fatta eccezione per il lavoro stagionale o comunque temporaneo, le persone sono interessate a una permanenza stabile. L’andamento riscontrato in questi anni di crisi è di tutt’altro segno”.

Cosa dicono i dati?
“Nel 2008 non sono stati rinnovati 80 mila permessi di soggiorno, stagionali compresi, idem nel 2009,  il loro numero è salito a 100 mila nel 2010 e  addirittura a 150mila nel 2011. Si tratta, nell’insieme, di circa 400 mila “decreti di espatrio di fatto”. Eseguiti controvoglia con un amaro rientro in patria o disattesi da chi ha, comunque, preferito rimanere sul posto, senza titolo di soggiorno e in attesa di una ripresa economica”.

Aumentano gli irregolari, ma presumibilmente anche chi sta per diventarlo. Con la riforma del lavoro il governo vuole raddoppiare da sei a dodici mesi la durata minima dei permessi per chi ha perso il posto e sembra anche intenzionato ad aumentare la validità dei permessi per lavoro e famiglia. Che ne pensa?
“Sono misure non solo di umanità, ma anche di concretezza, perché in Italia il mercato occupazionale è ancora in sofferenza e ci vuole tempo e pazienza per trovare un inserimento, senza contare che, non intervenendo, si rischia di allargare la sfera dell’irregolarità e del lavoro sommerso.  Dal punto di vista storico viene in mente, come paragone, la grande politica di rotazione attuata negli anni ’60 dalla Germania, che voleva che gli immigrati, dopo aver lavorato qualche anno, se ne tornassero in patria”.

Cosa insegna la Storia?
“In quegli anni arrivarono in Germania circa quattro milioni di italiani, ma solo uno su quattro si fermò sul posto. Questo avvicendamento fu causa di diversi effetti negativi, come un inserimento scolastico e professionale non buono, diversi dei quali persistono tuttora. Su questi rischi bisogna riflettere con cura”.

Elvio Pasca

 

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