ROMA, 5 novembre 2012 – Le badanti tornano a parlare italiano. Complice la crisi, donne che hanno perso il lavoro o con un marito licenziato o separate con figli, sono entrate in competizione con le ormai tradizionali figure di colf e impiegate in genere nell’assistenza di anziani e invalidi. Che parlano in prevalenza una lingua straniera: romeno nel 20% dei casi, ucraino nel 10%, polacco nel 7,7%, moldavo nel 6,2%.
Il monopolio del settore resta in mano alle migranti ma il fenomeno del ritorno delle signore di casa nostra alla cura di anziani soli o malati esiste eccome. Lo si può misurare, ad esempio, dalle iscrizioni agli specifici corsi di formazione attivi un po’ in tutta Italia. Come i progetti pilota che introducono la colf di condominio a Torino, Roma, Milano, organizzati dall’associazione dei proprietari di immobili.
In questa situazione i dati rivelano un incremento negli ultimi mesi di un dieci per cento di lavoratrici italiane. E i numerosi corsi di specializzazione (dati Acli Colf) registrano inconfutabilmente l’interesse delle italiane. A Torino dalle 948 iscrizioni del 2008 si è passati alle 1757 del 2010, un incremento secco dell’85%.
L’italiana badante “di ritorno” può vantare alcuni assi nella manica rispetto alla concorrenza: una famiglia la preferisce per esempio se vuole affidare il nonno a qualcuno che parli italiano o addirittura il dialetto di casa, sa cucinare i piatti di una vita. In media ha tra i 45 e i 50 anni, è più anziana. Deve scontare, invece, un livello di istruzione in media più basso: le straniere possiedono un diploma superiore nel 37% dei casi e una laurea nel 6,8%, contro il 23,2% e il 2,5%.
Per tutte, italiane e straniere, la prospettiva è un salario medio di 6,50 euro l’ora quando regolarizzate, 10 euro in nero (le italiane non hanno bisogno di permesso di soggiorno e quindi nemmeno di carte, documenti, sanatorie).