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Lotta agli irregolari. Scarsi risultati e costi alti

Se il conto degli immigrati senza permesso di soggiorno cala, non è grazie alla repressione. Le espulsioni non funzionano, nemmeno attraverso i CIE. I rimpatri effettivi sono una goccia nel mare. Salata

Roma – 12 luglio 2013 – Qualche giorno fa, in una curiosa contrapposizione tra le prediche del Papa e il governo del Paese, l’onorevole Fabrizio Cicchitto ha tuonato che di fronte all’immigrazione irregolare "uno Stato degno di questo nome non può abbassare la guardia”. Viene allora da chiedersi quanto è stata efficace finora la “guardia” dell’Italia, cioè se, in che misura e a che prezzo hanno funzionato finora le azioni di contrasto dell’irregolarità messe in campo. Partendo dai dati.

Innanzitutto,  pur sapendo che contare con esattezza gli invisibili è impossibile, quanti sono gli irregolari in Italia? La Fondazione Ismu pubblica ogni anno una stima che sta diventando sempre più bassa: 651 mila  nel 2008, 422 mila nel 2009, 454 mila nel 2010, 443 mila nel 2011, 326 mila all’inizio del 2012. “Gli irregolari sono scesi al livello di sei ogni cento presenti, un minimo mai osservato in passato e certo non estraneo ai venti di crisi” sottolineano i ricercatori nel  rapporto 2012.

Una cartina al tornasole possono essere le regolarizzazioni: 702 mila domande le domande presentate per quella del 2002, 295 mila per quella, aperta solo ai lavoratori domestici, del 2009, 135 mila per quella dello scorso anno. Anche qui numeri in calo, ma la tendenza è dovuta soprattutto ai requisiti sempre più rigorosi richiesti per regolarizzarsi, per quanto l’allora ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, a chi gli faceva notare che l’ultima sanatoria era stata un flop, rispose: “Forse il fenomeno non era così diffuso come si pensava”.

Ci si concentra spesso sugli sbarchi, che però sono solo un piccolo affluente del fiume dell’irregolarità. Questa è in realtà alimentata per lo più dai cosiddetti overstayers: persone che arrivano in Italia regolarmente e poi ci rimangono anche quando il loro permesso di soggiorno non è più valido. Comunque, gli arrivi sulle nostre coste, al di là della tragicità dei viaggi e, soprattutto, dei naufragi, non sono quel fenomeno dalle dimensioni apocalittiche rilanciato da politica e media.

Nel 2008 sbarcarono in Italia 36951 persone. Nei due anni successivi ci fu un crollo vertiginoso: 9573 nel 2009, 4406 nel 2010, merito soprattutto dell’accordo con la Libia e della politica dei respingimenti in mare dell’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, bocciata dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo perché consegnava i profughi alle prigioni disumane di Gheddafi o li faceva rimpatriare in Paesi dove rischiavano torture e pena di morte.

Nel 2011 c’è stato un boom legato alle primavere arabe e alla guerra in Libia, con 62692 arrivi, calati drasticamente a 13267 nel 2012. “Nei primi sei mesi di quest'anno siamo allineati alle cifre del 2012" ha detto all’inizio di luglio in Aula alla Camera il ministro dell’interno Angelino Alfano, specificando che il dato “è assolutamente significativo, ma non ci dà la dimensione dell'emergenza”.

Gli sbarchi hanno insomma una dimensione che può essere gestita dall’Italia, possibilmente con l’aiuto dell’Europa. Ma soprattutto, non si può dimenticare che buona parte di quelli che riescono ad attraversare il Mediterraneo hanno diritto a forme di protezione internazionale, come l’asilo politico o un permesso umanitario, perché fuggono da guerre e persecuzioni, e non solo dalla povertà che fa muovere i migranti economici. L’immigrazione irregolare, insomma, non è quella che vediamo sui barconi.

Torniamo alle centinaia di migliaia di persone che vivono in Italia senza un permesso di soggiorno. La macchina delle espulsioni funziona? Poco e male. Lo dimostrano dati come quelli presentati recentemente dall’associazione Lunaria nel suo rapporto Costi Disumani.

“Tra il 2005 e il 2011 – spiega Lunaria – sono stati rintracciati 540.389 migranti in posizione irregolare; i dati evidenziano una tendenza decrescente nel corso del tempo: nel 2005 le persone individuate dalle autorità di pubblica sicurezza in posizione irregolare sono state 119.923, nel 2011 sono state meno della metà (47.152 persone). Nell’intero periodo l’incidenza dei respingimenti, pari al 13,6%, e degli allontanamenti, pari al 26,1%, è stata decisamente inferiore rispetto a quella dei migranti che non hanno ottemperato all’ordine di allontanamento, 60,3%”.

Non si riscontra una maggiore efficienza quando ci si concentra sui Centri di Identificazione ed Espulsione, veri totem del contrasto dell’immigrazione clandestina. Una volta su due, questi luoghi dove ormai per il solo fatto di non avere un permesso di soggiorno si può essere privati della libertà e passare fino a un anno e mezzo chiusi in gabbia, falliscono l’obiettivo per cui sono nati.

Medici per i Diritti Umani, nel dossier Arcipelago Cie presentato lo scorso maggio, cita numeri della Polizia di Stato. Nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i centri di identificazione ed espulsione operativi in Italia. Di questi solo 4.015 sono stati poi effettivamente rimpatriati. Il tasso di efficacia, cioè la percentuale dei rimpatriati sul totale dei trattenuti, è appena del 50,54%.

Nel dossier si dimostra anche che il prolungamento del tempo massimo di permanenza nei Cie, che dal 2002 a oggi è passato da due a sei e infine a diciotto mesi, non ha generato un aumento della loro efficienza. “A parità di posti disponibili nei centri, il, prolungamento deve aver infatti comportato un’inevitabile diminuzione del turn over e quindi del numero totale dei trattenuti. Come a dire che l’aver esteso di nove volte i tempi di trattenimento può aver paradossalmente comportato un peggioramento della performance del sistema in termini di espulsioni effettivamente eseguite” nota MEDU.

A far riflettere di più è però il rapporto tra i quattromila irregolari effettivamente rimpatriati nel 2012 dopo essere stati trattenuti nei Cie e i 326 mila che secondo l’Ismu, nello stesso anno, vivevano in Italia. Sono appena l’1,2 %, una goccia nel mare. Una goccia salatissima, però, se si considera quanto costano i Cie allo Stato. Solo tra gestione, sorveglianza e scorte per i rimpatri dai CIE Lunaria stima una spesa di almeno 55 milioni di euro l’anno.

Vanno poi aggiunte le spese per la costruzione, l’acquisto, l’adattamento o l’affitto  degli immobili, per l’acquisto di attrezzature e per la manutenzione. I ricercatori hanno tirato fuori un conto di 144 milioni di euro l’anno, nel quale però rientrano anche le spese per i centri di accoglienza, di primo soccorso o per richiedenti asilo (CDA, CPSA, CARA). “Gran parte di questi costi, come è possibile dedurre dalla documentazione ufficiale disponibile, è imputabile – sottolinea però l’associazione – alle spese sostenute per l’allestimento, la costruzione, la gestione e la manutenzione ordinaria e straordinaria dei CIE”.

Tutti soldi pubblici, sborsati con le loro tasse da cittadini italiani e immigrati regolari. Visti i risultati, sono spesi bene?

Elvio Pasca

 

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