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Touadì: “Sogno un’Italia meritocratica”

Eletto alla Camera con l’Italia dei valori, Jean Leonard Touadì punta sulla politica estera, sulle pari opportunità per i giovani e sulla sicurezza

Roma – 22 aprile 2008 – In Parlamento, nelle file dell’opposizione, c’è anche Jean-Leonard Touadì,  eletto alla Camera nel collegio Lazio 1 con l’Italia dei valori. Il primo deputato italiano originario dell’Africa Subsahariana è nato in Congo. Ha 49 anni, è docente universitario ed ex assessore alle politiche giovanili e alla sicurezza del Comune di Roma.

È arrivato in Italia nel 1979, dove si è laureato in Filosofia all’Università Gregoriana di Roma e in Giornalismo e Scienze politiche alla Luiss di Roma. Ha cominciato la sua carriera professionale come giornalista, dedicandosi ai temi della cooperazione allo sviluppo, dell’intercultura, dei diritti dei migranti. Ha collaborato con numerosi programmi radiofonici e televisivi della Rai come "Permesso di Soggiorno" e "Un Mondo a Colori", di cui é stato autore e conduttore. Ha scritto di intercultura, di rapporti Nord-Sud e di globalizzazione su numerose testate italiane e straniere ed è autore di alcuni libri sulla cultura e la geografia politica africana.

Attualmente insegna "Cultura dei Paesi di Lingua francese" presso l’ Università degli Studi di Milano ed è docente nel corso di Geografia Economico Politica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Tor Vergata, a Roma.

È stata data molta attenzione al fatto che lei è il primo deputato italiano proveniente dall’Africa Subsahariana. In che modo questo fatto può essere di rilievo nel suo lavoro da parlamentare?
In effetti lo sono. Sono anche il primo nero e capisco che questo può assumere una valenza simbolica. Ma di africani eletti alla Camera nella scorsa legislazione ci sono stati anche l’algerino Fouad Allam, della Margherita, e la capoverdina Mercedes Frias, eletta con il Prc. In realtà non mi riconosco nell’essere immigrato o africano. Mi sento prima di tutto un essere umano. Sono fiero delle mie origini, ma esse non sono il punto focale del mio essere. Non rappresento gli immigrati, ne gli africani. Ma ho fatto un percorso e di questo percorso, nel mio lavoro, ne farò tesoro.

È prima di tutto una persona, è italiano, ma qualcuno si aspetta che la sua presenza in Parlamento influisca almeno un po’ sulle politiche future in tema di immigrazione.
Certamente ho una sensibilità maggiore sul tema rispetto ad altri. Il mio approccio e la mia diversa percezione derivano sia dagli studi che dal vissuto. Tutto il percorso che ho fatto pesa, è un bagaglio che mi porto sempre dietro e che influisce sulla mia vita. E anche in Parlamento probabilmente conterà, ma non è la cosa più importante.

Quali sono i suoi primi propositi da parlamentare?
Prima di tutto vorrei imparare bene il mestiere del deputato per poter rispondere alle aspettative di coloro che mi hanno dato fiducia. Per il resto, il mio impegno seguirà tre filoni principali: il primo riguarda la politica estera, che ha un fortissimo legame con l’Italia. C’è un nesso – spesso sottovalutato – tra questo Paese e il resto del Mondo. L’immigrazione è solo uno degli esempi. Ogni cosa che succede qui ha stretti legami con ciò che avviene altrove, a livello europeo e mondiale.

Il secondo filone riguarda le politiche giovanili. Mi preme dare maggiori opportunità alle nuove generazioni, per le quali ci sono pochi accessi al mondo lavorativo. In questo contesto rientra anche la mia attenzione per le seconde generazioni di immigrati, che sono portatori di interessi e richieste – diverse da quelli dei loro genitori – non ancora sufficientemente ascoltate.

Il terzo punto riguarda la questione “sicurezza”. Bisogna mirare a un equilibrio tra il rispetto della legalità e l’inclusione sociale. E’ riduttivo puntare il dito solo contro l’immigrazione. Chi lo fa sbaglia, perché il problema della sicurezza ha innumerevoli sfaccettature. Lo possiamo incontrare nell’ambito dei legami sociali, del lavoro, dell’economia, della malavita organizzata e in altri ancora. Si può arrivare a una soluzione solo affrontando tutte le tematiche.

Visto che è stato assessore alla sicurezza, qual è la sua ricetta per eliminare i problemi che giocano a sfavore degli immigrati?
Se ci sono immigrati che delinquono, è giusto parlarne e punirli anche per distinguerli dai tanti che invece vivono qui onestamente e faticano per guadagnarsi una posizione nella società. Non si deve fare di tutta l’erba un fascio. Non si può parlare di potenzialità delinquenziale collettiva quando il tasso di delinquenti tra i regolarmente soggiornanti è fisiologico, ha una percentuale pari a quella degli italiani. E comunque ritengo sia necessario un impianto punitivo sicuro per scoraggiare chi è intenzionato a trasgredire la legge.

La Lega già parla di una legge Bossi – Fini più severa. La cosa la spaventa?
Affronteremo i fantasmi quando si materializzeranno. Ora è presto per allarmarsi. Esamineremo i provvedimenti sulla base dei diritti umani e del sentire condiviso dai cittadini italiani.

Sarà una strada in salita? Riuscirete a mettervi d’accordo?
La strada dell’opposizione è sempre in salita, ma tra noi e loro c’è la costituzione e la difesa della democrazia. Il nostro è un ruolo di controllo, il potere sta nelle mani di chi le elezioni le ha vinte. Ma è ancora presto per fare previsioni.

Come escono gli immigrati da queste elezioni? Da sconfitti?
No, non da sconfitti. Nonostante tutto il frastuono, credo che l’integrazione sia in marcia. La politica non può fermare ciò che nella società è già in fermento. Sono ottimista.

I suoi figli sono nati qui. Quale Italia sogna per loro?
I miei figli sono meticci, sia per il colore della loro pelle che per la loro cultura. Vorrei che in futuro fossero giudicati per il loro valore, per l’impegno e per le prerogative personali. L’Italia che sogno per loro è quella che da importanza ai meriti, che non guarda di chi sei figlio o in quale quartiere vivi. Che offre stesse opportunità a tutti. I miei figli partono avvantaggiati dal fatto che io sono conosciuto, ma davvero non vorrei che lo fossero per questo.

Si è mai sentito discriminato? È stata dura arrivare fino a qui?
È capitato anche a me da studente di andare all’appuntamento per affittare una casa e sentirmi dire che non è più disponibile. Capita anche nel lavoro. Ma si tratta più spesso di discriminazioni occulte, nascoste negli sguardi, non palesi.

È stancante dover sempre dimostrare di essere all’altezza e superare il doppio delle prove riservate agli italiani. Ma per quanto mi riguarda è fuori luogo parlare di discriminazione. In Italia sono riuscito a fare tante cose e questa è la prova che molto dipende dai percorsi individuali. Sono importanti la voglia e la tenacia. Io ho puntato sulla qualità della formazione universitaria, ma devo anche molto alle persone che hanno creduto in me. Insomma, è questione di destino, ma aveva ragione anche Bob Marley quando cantava “You can get it if you really want it”.

Antonia Ilinova

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