“Quando siamo arrivati a L’Aquila non avevamo ancora un’idea precisa ne’ di cosa avremmo trovato ne’ di cosa avremmo voluto realizzare. Eravamo alla ricerca di una storia che consentisse di raccontare l’esperienza del terremoto senza usare i toni abusati dei media”. Così i realizzatori del documentario – il collettivo N.403 e Anra – spiegano come è nata l’idea di puntare i riflettori sulle badanti e sugli anziani da loro accuditi.
“L’Aquila – spiega Adalberto D’Alessandri, membro del collettivo N.403 – è, o era, una città abitata principalmente da studenti ed anziani. Gli studenti che avevano potuto se ne erano andati, altri erano in procinto di andarsene. Rimanevano gli anziani a popolare le tendopoli della protezione civile. Ed insieme a loro, lontano dai riflettori abbiamo visto le badanti. Abbiamo scambiato qualche battuta e ci siamo resi immediatamente conto che le loro voci ci avrebbero dato l’opportunità di raccontare il terremoto da una prospettiva inedita, e importante”.
La telecamera si muove tra le macerie e salta da una vicenda all’altra, tutte simili e diverse allo stesso tempo. Ma ci sono cose che non ha saputo cogliere, raccontano i realizzatori del video, “una forza d’animo, un coraggio, e un’etica della solidarietà e del lavoro degne di nota e rispetto, e anche il fatto che le badanti, tanto quanto gli anziani, soffrono il distacco dalla famiglia. Badanti e badati hanno spesso una cosa fondamentale che li lega: i figli lontani con i quali non possono condividere la quotidianità”.
Le badanti sono ragazze e signore che in genere arrivano dall’Est Europa e dall’America Latina. Più spesso moldave, bulgare e peruviane. “L’unica che so essere andata via – racconta Adalberto D’Alessandri – è Roxana, la più giovane delle intervistate. Comunque all’Aquila ci sono moltissimi anziani soli, penso che molti hanno bisogno di qualcuno che li aiuti e che si prenda cura di loro, soprattutto in questo momento di emergenza”.
Queste donne immigrate, rimaste nella città distrutta dal terremoto, non sono fuggite per esigenze economiche. Ma per restare ci vuole anche coraggio e responsabilità. “Non abbiamo dubbi – aggiunge D’Alessandri – sul fatto che molte badanti sono ancora all’Aquila perché hanno bisogno di un lavoro. Ciò non toglie che svolgano le loro mansioni con premura e affetto nei confronti delle persone anziane”.
“Ogni badante ha una sua storia personale e una diversa persona di cui prendersi cura, – spiega Adalberto D’Alessandri -, per alcune è più facile affezionarsi, per altre è più difficile, considerando anche l’oggettiva difficoltà del lavoro che svolgono. Dalla nostra esperienza comunque tra badanti e ‘badati’ c’è spesso una buona relazione. Si legge negli occhi degli anziani, che non di rado parlano di gratitudine e ammirazione”.
Antonia Ilinova