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Ricongiungimenti. “In Italia si fanno a rate”

La denuncia di Migrantes. "In media sette anni per riunire la famiglia"

Roma – 29 aprile 2010 – In Italia, tra norme restrittive e burocrazia,  i ricongiungimenti familiari si fanno "a rate", e per riunire qui tutta la famiglia gli immigrati ci mettono in media sette anni.

"Prima arrivano i figli più grandi e per ultimi quelli più piccoli, con delle ripercussioni psicologiche e affettive nei confronti dei genitori facilmente immaginabili, con faticose ricostruzioni di rapporti di intimità in terra di emigrazione" ha spiegato ieri Gianromano Gnesotto, della Fondazione "Migrantes" della Cei, intervenuto  a Malaga al congresso europeo sulle migrazioni promosso dal conferenze episcopali europee.

"Uso il termine ‘a rate’ – ha sottolineato Gnesotto – per un riferimento economico legato alla disponibilità di un reddito adeguato per il ricongiungimento in Italia. La normativa italiana, infatti, pone tra i requisiti necessari un reddito annuo derivante da fonti lecite, non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, il triplo per il ricongiungimento di quattro o più familiari".

Per questo si sceglie di ricongiungere prima i figli che più si avvicinano alla maggiore età. "Dal punto di vista educativo – ha osservato il rappresentante di Migrantes -, queste lunghe parentesi di genitorialità a distanza possono pesare parecchio sulla capacità di ricostruire rapporti di confidenza". Una ricerca sulla prima città italiana per numero di immigrati, Milano, ha mostrato che la metà degli immigrati ha impiegato più di sette anni per il ricongiungimento dell’intero nucleo familiare.

"Fondamentalmente perchè – commenta padre Gnesotto – la normativa italiana riguardante l’immigrazione, in linea con quella europea, stabilisce dei requisiti rigidi per quanto riguarda il reddito e l’alloggio, ingenerando la sottomissione di un diritto fondamentale a requisiti economici".

È un peccato perchè la "famiglia ricongiunta nei territori di accoglienza” si rivela essere l’ambito principale dove "si elabora l’inclusione sociale”, funziona cioè – ha spiegato padre Gnesotto "come luogo importante d’apprendimento reciproco e di doppia mediazione linguistica e culturale. I figli spesso assumono il ruolo di mediatori, interpreti e portavoce dei bisogni familiari. La famiglia diviene laboratorio dell’integrazione socio-culturale".

"L’urgenza di disegnare prospettive per l’Europa delle persone in movimento, trova nella famiglia ricongiunta – ha detto Gnesotto – il superamento di almeno due prospettive fuorvianti: ritenere che l’immigrazione sia un fenomeno temporaneo e che sia un fenomeno da trattare con una logica emergenziale".

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