Salve, lavoro da molti anni per un’azienda che sta mandando via delle persone. Vorrei sapere come funziona in Italia la legge sui licenziamenti perché a voce mi hanno detto che intendono licenziarmi.
Il licenziamento è considerato legittimo soltanto quando sussistono alcune condizioni:
Innanzitutto occorre che vi sia una “giusta causa” o un “giustificato motivo”, cioè il licenziamento deve trovare giustificazione in un comportamento del lavoratore particolarmente grave o in una determinata ragione.
La “giusta causa”.
La giusta causa consiste in una condotta del lavoratore che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro. In sostanza si tratta di in un grave inadempimento del lavoratore che rompe il rapporto di fiducia tra lui e il datore di lavoro. Possono essere ipotesi di licenziamento per giusta causa le assenze ingiustificate dal posto di lavoro; le ingiurie o le minacce poste in essere nei confronti del datore di lavoro o dei colleghi; i reati commessi nell’esercizio del lavoro (ad esempio un furto commesso sul luogo di lavoro) oppure i reati che, seppur commessi al di fuori del rapporto di lavoro, fanno comunque venir meno il rapporto di fiducia tra lavoratore e datore di lavoro. La giusta causa consente il licenziamento in tronco del lavoratore, senza alcun preavviso.
Il “giustificato motivo”.
Il licenziamento per giustificato motivo può essere soggettivo o oggettivo.
Si intende con giustificato motivo soggettivo una violazione degli obblighi contrattuali del lavoratore, che però non è talmente grave da giustificare il licenziamento in tronco e, pertanto, il datore di lavoro è obbligato a dare il preavviso. Possono configurare ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo ad esempio lo scarso rendimento del lavoratore, se dipendente da una condotta colpevole; oppure la violazione dei doveri di diligenza, obbedienza, fedeltà che ogni lavoratore deve rispettare nel proprio rapporto di lavoro.
Si intende con giustificato motivo oggettivo la necessità da parte del datore di lavoro di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore per ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento. In queste ipotesi il datore di lavoro ha l’obbligo di dare il preavviso (o corrispondere la relativa indennità sostitutiva) al lavoratore.
In determinati casi invece, il datore di lavoro può licenziare il lavoratore anche senza un giustificato motivo o una giusta causa. Si tratta del cosiddetto licenziamento “ad nutum”. Questo è possibile per i lavoratori domestici, per i lavoratori ultra-sessantacinquenni o che abbiano comunque raggiunto i requisiti dell’età pensionistica, per gli atleti professionisti, per gli apprendisti e per i lavoratori assunti in prova. In questi casi il datore di lavoro ha solo l’obbligo di dare il preavviso. In caso di licenziamento senza preavviso il datore di lavoro deve corrispondere una indennità al lavoratore.
Il datore di lavoro, quando intende predisporre un licenziamento, deve seguire delle procedure che salvaguardino la possibilità del lavoratore di contestare il licenziamento. Queste prevedono la comunicazione per iscritto del licenziamento.
Forma del licenziamento.
Il licenziamento per essere valido deve essere comunicato al lavoratore in forma scritta. Il licenziamento fatto verbalmente non ha alcun valore. Nel caso in cui il datore di lavoro effettui un licenziamento verbale, il lavoratore farà bene a presentarsi comunque al lavoro per evitare di incorrere in comportamenti che poi, potrebbero giustificarne il licenziamento. I motivi del licenziamento possono non essere forniti subito dal datore di lavoro, ma se richiesti dal lavoratore, il datore di lavoro ha l’obbligo di indicarli per iscritto.
Il datore di lavoro deve dare il preavviso nel termine e nei modi previsti dal contratto. Il termine del preavviso inizia a decorrere dal momento della ricezione della comunicazione di licenziamento ed in tale periodo non possono essere computate le ferie. In caso di mancato preavviso, il datore di lavoro è tenuto a pagare un’ indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore durante il periodo di preavviso. Il preavviso può non essere dato solo in caso di licenziamento per giusta causa.
Impugnazione del licenziamento.
Qualora il lavoratore ritenga il licenziamento illegittimo può impugnarlo entro 60 giorni dalla sua comunicazione o dalla comunicazione dei motivi, se avvenuta dopo la comunicazione del licenziamento. La contestazione va fatta in forma scritta. E’ opportuno utilizzare mezzi di impugnazione di cui si possa dimostrare la ricezione da parte del datore di lavoro come ad esempio lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. Dopo l’invio della comunicazione di impugnazione del licenziamento il lavoratore ha 270 giorni che iniziano a decorrere dalla ricezione della comunicazione da parte del datore di lavoro per scegliere tra tentare una conciliazione con il datore di lavoro (cioè trovare un accordo) o la presentazione di un ricorso in Tribunale. Qualora il lavoratore decida di tentare la conciliazione ma questa non si concluda con un accordo, il lavoratore potrà comunque rivolgersi al Giudice del lavoro. In questo caso il termine per depositare il ricorso è di 60 giorni dal fallito tentativo di conciliazione. In caso di licenziamento illegittimo si consiglia sempre di rivolgersi immediatamente ad un avvocato esperto in diritto del lavoro.
Le sanzioni per il licenziamento illegittimo
Le sanzioni per il licenziamento illegittimo sono diverse a seconda che il datore di lavoro occupi più di 15 dipendenti o fino a 15 dipendenti.
Se i dipendenti sono più di 15 si parla di “tutela reale” del lavoratore che comprende la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore. La legge fornisce la facoltà al lavoratore di rinunciare alla reintegrazione nel posto di lavoro, chiedendo in sostituzione un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto.
Nelle aziende più piccole (fino a 15 dipendenti) il licenziamento illegittimo è colpito con sanzioni meno gravi e onerose; in questi casi si applica la cosiddetta “tutela obbligatoria”: il Giudice condanna il datore di lavoro a riassumere il lavoratore entro 3 giorni oppure a versare al lavoratore un’indennità. È quindi il datore di lavoro a scegliere la sanzione (riassunzione o pagamento dell’indennità) che ritiene preferibile.
Il divieto di licenziamento delle lavoratrici per matrimonio e per maternità.
In Italia il diritto all’unità familiare ed alla formazione della famiglia è un diritto riconosciuto e protetto dalla Costituzione. Di conseguenza vige il divieto di licenziare un lavoratore per matrimonio.
È vietato inoltre il licenziamento per il padre lavoratore in caso di fruizione del congedo di paternità (per la durata del congedo stesso e fino al compimento di un anno di età del bambino) e della lavoratrice durante il periodo di gravidanza. Il divieto di licenziamento per la donna in maternità va fin dall’inizio del periodo di gestazione e fino al compimento di un anno di età del bambino, o in caso di aborto o di morte del figlio durante i primi tre mesi dal parto. La lavoratrice licenziata durante il periodo protetto ha diritto ad ottenere il ripristino del rapporto di lavoro mediante la presentazione, entro 90 giorni dal licenziamento, d’idonea certificazione volta a comprovare lo stato di gravidanza all’epoca del licenziamento.
In questi casi licenziamento è nullo, cioè è come se non fosse mai stato intimato.
Il licenziamento per malattia
La malattia del lavoratore di per se non può essere causa di licenziamento. Se il lavoratore è malato infatti è sufficiente che invii il certificato medico al datore di lavoro per vedere tutelato il suo posto di lavoro. In determinati casi però la malattia può essere causa di licenziamento. La malattia può provocare il licenziamento del lavoratore per giusta causa qualora in seguito alla malattia, consegua l’impossibilità di portare a termine il lavoro. Può essere causa di licenziamento se, a seguito di visita del medico di controllo, il lavoratore non venga trovato nella sua abitazione senza una idonea giustificazione. In questi casi possono però essere previste sanzioni meno gravi del licenziamento come ad esempio la lettera di richiamo. La legge prevede inoltre un periodo massimo di malattia nel corso del rapporto di lavoro (di solito stabilito nel contratto collettivo che disciplina il rapporto di lavoro), superato il quale il licenziamento può essere considerato legittimo.
La tutela del licenziamento per gli stranieri
Lo straniero gode delle stesse tutele dei cittadini italiani per il licenziamento illegittimo.
Lo straniero comunitario che perde il posto di lavoro deve trovare un altro lavoro per non perdere i requisiti di reddito che gli consentono di poter soggiornare sul territorio italiano.
Lo straniero extracomunitario in regola con il permesso di soggiorno, che perde il posto di lavoro deve presentarsi al Centro per l’impiego entro 40 giorni dal licenziamento per effettuare la dichiarazione di disponibilità al lavoro. Il datore di lavoro deve darne comunicazione al centro per l’impiego e allo sportello unico entro 5 giorni dal licenziamento o dalle dimissioni.
Per i lavoratori domestici la comunicazione dell’interruzione del rapporto di lavoro va data all’INPS attraverso i moduli presenti sul sito www.inps.it.
Il lavoratore extracomunitario che perde il posto di lavoro, dopo la dichiarazione di disponibilità al lavoro può richiedere un permesso di soggiorno per attesa occupazione, di durata sei mesi, all’ufficio immigrazione della Questura competente per territorio. Può avere inoltre diritto all’indennità di disoccupazione se è in possesso dei requisiti.
Il permesso di soggiorno del cittadino extracomunitario che viene licenziato o che si dimette rimane comunque valido alla scadenza. Entro questo periodo lo straniero deve però trovare un nuovo lavoro altrimenti il permesso di soggiorno non sarà rinnovato, oppure in caso di iscrizione presso il centro per l’impiego sarà rinnovato con un permesso per attesa occupazione sempre valido sei mesi.
Il lavoratore extracomunitario non in regola con il permesso di soggiorno che viene licenziato non potrà avere un permesso di soggiorno né può godere della tutela per la reintegrazione sul posto di lavoro. Le tutele possibili in questo caso riguardano solo le eventuali mancate retribuzioni e le indennità, di cui non abbia potuto godere, previsti dal contratto collettivo in relazione al lavoro svolto, che potrà far valere a mezzo di un avvocato nelle competenti sedi giudiziarie. Al lavoratore infatti, anche clandestino o occupato irregolarmente, spettano le retribuzioni ed i diritti previsti dai contratti nazionali.