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Rebus sui poteri del ministro dell’integrazione

Per fare il suo mestiere Riccardi dovrebbe avere competenze che oggi sono affidate ai ministeri dell’Interno, del Lavoro e degli Esteri. Nelle deleghe non ci sono, si lavora a delicati accordi con Cancellieri, Fornero e Terzi

 

Roma – 17 febbraio 2012 – Andrea Riccardi è ministro dell’integrazione e della cooperazione internazionale e non stupisce che da quando ha giurato al Quirinale sia intervenuto a tutto campo sui temi che riguardano l’immigrazione, dalla riforma della cittadinanza alla tassa sui permessi di soggiorno, passando per la situazione dei rom, il razzismo e i rapporti con i Paesi d’Origine.

A leggere però il conferimento delle deleghe firmato dal premier Mario Monti arrivato ieri in Gazzetta Ufficiale si fa fatica a trovarne una che faccia pensare, se non incidentalmente, agli immigrati. Ci sono infatti solo giovani, famiglia, adozioni, tossicodipendenze e servizio civile, competenze che nel governo Berlusconi erano divise per lo più tra Carlo Giovanardi e Giorgia Meloni e che, spariti i ministri della gioventù e della famiglia, è stato facile attribuire al fondatore della Comunità di Sant’Egidio.

Il problema è che le competenze forti sugli immigrati non sono state affidate finora a ministri senza portafoglio, ma sono da sempre appannaggio di ministeri decisamente più “pesanti”: Interno, Lavoro ed Esteri. Per dare a Riccardi bisogna insomma togliere a Cancellieri, Fornero e Terzi, nel gioco rientrano uomini e mezzi (basta pensare alla Direzione Immigrazione e Libertà Civili del Viminale, che gestisce il Fondo Europeo per l’Integrazione) e i tre ministri, con questo gioco, si divertono poco.

Qualcosa, comunque, si muove. Come ci spiegano in ambienti governativi, “una decina di giorni fa Monti e Cancellieri hanno firmato un accordo che dà a Riccardi la possibilità di avvalersi delle strutture del ministero dell’Interno che si occupano di integrazione”. Bisognerà però vedere come (e se) funzionerà a regime questa sorta di transazione, visto che è difficile fare integrazione senza toccare, per esempio, regole e procedure dei permessi di soggiorno, un campo in cui il Viminale non accetta intrusioni.

Un accordo simile, che per ora non c’è, dovrebbero coinvolgere il ministero del Lavoro, dove pure c’è un’attivissima Direzione Immigrazione che, tra le altre cose, ha partorito qualche settimana fa anche un “Portale dell’integrazione”. Stesso copione con il ministero degli Esteri per quanto riguarda la cooperazione internazionale, dove i diplomatici non rinunceranno facilmente al controllo di una carta così importante nei rapporti con i Paesi in via di sviluppo.

Si affacciano all’orizzonte delicate co-gestioni. E già è curioso notare che l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni sembra fare capo a Riccardi se si guarda il sito del ministero per l’Integrazione, a Fornero se si naviga in quello del dipartimento per le Pari Opportunità. Perché? L’Ufficio farebbe riferimento ad Andrea per discriminazioni su razza, religione e provenienza, ad Elsa per quelle legate a genere e orientamento sessuale.

Per il governo Monti è un bel rompicapo, ne va infatti del ruolo “tecnico” di Riccardi, che sull’immigrazione rischia di giocare solo da politico, se non proprio da opinionista. Rischia insomma di essere un ministro per l’integrazione pronto ad avanzare proposte e a prendere posizioni, che però, per passare dalle parole ai fatti, è costretto sempre a bussare col cappello in mano alla porta di più potenti colleghi.

Elvio Pasca

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