Le donne con il copricapo islamico esercitano il diritto alla propria fede e, non arrecando turbative alle udienze, possono derogare all’obbligo di stare in aula a capo scoperto
Roma, 23 febbraio 2012 – Un richiamo al ”pieno rispetto” di comportamenti che ”senza recare turbamento al regolare e corretto svolgimento dell’udienza, costituiscono legittimo esercizio del diritto di professare il proprio culto”.
Cosi’, con una delibera formulata dalla sesta commissione e approvata dal plenum con 19 voti a favore e 4 astenuti, il Csm risponde a una richiesta di parere avanzata dal presidente del Tribunale di Torino, Luciano Panzani, su quanto accaduto in un’udienza del 14 ottobre 2011 nel corso della quale il giudice Giuseppe Casalbore, a capo del collegio, invito’ un’interprete nominata dal Pm, di religione musulmana e giunta in aula con il velo, a scoprirsi il capo. Lei rifiuto’ e rinuncio’ all’incarico.
Casalbore, che recentemente ha presieduto la Corte nel processo Eternit, motivo’ la sua scelta con il fatto che, riferisce la delibera ”il suo comportamento sarebbe stato in contrasto con l’obbligo di legge di assistere all’udienza a capo scoperto”, escludendo peraltro ”qualunque suo intento discriminatorio”. Da qui la richiesta del presidente del Tribunale al Csm per chiarire ”a quali regole debba in concreto attenersi il magistrato che dirige l’udienza, sia civile che penale, onde poter fornire ai giudici del Tribunale indicazioni per una condotta uniforme e rispettosa dei diritti individuali della persona”.
Inequivocabile la risposta del Consiglio, che identifica nell’articolo 19 della Costituzione, che sancisce la liberta’ di professare la propria fede religiosa con il solo limite del rispetto del buon costume, ”un valore di rilevanza primaria al quale deve conformarsi anche l’esercizio delle prerogative di direzione e di organizzazione dell’udienza riconosciute al giudice e quello della facolta’ del dirigente di impartire eventuali piu’ generali direttive per l’utenza dell’ufficio giudiziario”.