Seguono Toscana, Umbria, Veneto, Emilia-Romagna e Trentino Alto Adige, le Regioni del Sud sono in fondo alla classifica. “Imprenditoria in costante crescita, ma spesso è una strada obbligata per rimanere regolari o lavoro dipendente mascherato da autonomo”
Roma – 16 febbraio 2012 – In cima alla classifica delle regioni che offrono agli stranieri le migliori condizioni di inserimento socio-occupazionale e il piu’ alto indice potenziale di integrazione ci sono il Friuli Venezia Giulia (con un valore dell’indice di 70,6 su scala 1 a 100), la Toscana (66,0) e l’Umbria (65,7).
Seguono il Veneto (63,3), l’Emilia Romagna (63,1) e il Trentino A. A. (62,1). In testa alle regioni a medio potenziale le Marche (59,9), seguite da Liguria (60,7), Lombardia (56,6), Piemonte (56,4) e Valle d’Aosta (52,2). Il Lazio, con un indice di 49,2 si colloca al 14° posto nella graduatoria nazionale, dopo l’Abruzzo (51,6) e incorniciato tra le due Isole, la Sicilia (49,8) e la Sardegna (46,0). Agli ultimi 5 posti della graduatoria le rimanenti regioni del Sud Italia.
Lo rileva l’VIII Rapporto del CNEL sugli Indici di integrazione degli immigrati in Italia, realizzao in collaborazione con la DG dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Minisero del Lavoro e delle Politiche Sociali, presentato oggi a Villa Lubin.
L’indagine misura il grado di attrattività che province, regioni e grandi aree nazionali esercitano sulla popolazione straniera in Italia e il livello di inserimento sociale e occupazionale degli immigrati. Il Rapporto si serve di 15 indicatori statistici, suddivisi in 3 gruppi tematici di 5 indicatori ciascuno. Ogni gruppo corrisponde a un indice sintetico che attraverso i suoi 5 indicatori di base, misura l’attrattività dei territori, l’inserimento sociale e occupazionale degli immigrati.
In sintesi, per quanto riguarda l’indice di attrattività territoriale, che misura la capacità di una regione di porsi come “polo di attrazione”, al vertice figurano la Lombardia (86,2), il Veneto (79,5), l’Emilia Romagna (79), il Lazio (73,9), mentre in coda sono Campania (17,3), Calabria, (15,4), Sardegna (10,6) e Basilicata (6,5). Quanto alle province, l’indice massimo è di Prato (84,4), seguono Brescia (71,2) e Milano (70,9). Gli indicatori che costruiscono questo indice sono: l’incidenza (% degli stranieri sulla popolazione residente), la densità (stranieri per kmq), ricettività migratoria (stranieri che, nel corso dell’anno, hanno spostato la propria residenza anagrafica da un Comune esterno a uno interno al territorio di riferimento), stabilità (% di minori tra la popolazione straniera), appartenenza familiare (% di famiglie residenti con almeno un componente straniero).
Quanto all’Indice di inserimento sociale, che misura il livello di accesso degli immigrati ad alcuni beni e servizi fondamentali di welfare, le migliori condizioni si registrano in Friuli V. G. (71,6), Umbria (70,5), Marche (69,0) e Trentino A. A. (67,4). La situazione tra le province conferma che l’inserimento sociale degli stranieri trova condizioni migliori in contesti socio-urbanistici e amministrativi di ridotta estensione, come Trieste (69,9), Vicenza (69,8). Determinano questo indice indicatori di accessibilità al mercato immobiliare (% dei costi d’affitto medi annui nominali di una casa di 50 mq in zona periferica sul reddito medio annuo pro capite stimato della popolazione straniera non comunitaria), l’istruzione liceale (% di iscritti al liceo), tenuta del soggiorno stabile (% di permessi di soggiorno in vigore dopo un anno), naturalizzazione (numero medio di naturalizzati), capacità di iniziativa familiare (% di famiglie il cui capofamiglia è straniero sul totale delle famiglie con almeno un componente straniero).
Infine, secondo l’Indice di inserimento occupazionale, che misura il grado e la qualità della partecipazione al mercato del lavoro, le regioni che offrono agli immigrati le migliori condizioni sono la Toscana (69,7), Emilia R. (69,6) e Friuli V. G. (69,5), che hanno distaccato i tradizionali maggiori poli lavorativi di Lombardia (64,5), Veneto (63,8), Lazio (63,2) e Piemonte (62,7). Quanto alle province, in testa alla rispettiva graduatoria Reggio Emilia (79,4), Prato (78,5), Trieste (74,0), Firenze (72,3), Piacenza (71,7), Milano (71,6) e Bologna (70,2).
Concorrono a costruire questo indice gli indicatori di impiego della manodopera immigrata (% dei nati all’estero tra i lavoratori risultati occupati nel corso dell’anno), capacità di assorbimento del mercato lavorativo (numero medio di lavoratori nati all’estero assunti nel corso dell’anno ogni 100 che, durante lo stesso anno, hanno cessato il rapporto di lavoro), reddito (importo, in euro, del reddito medio annuo pro capite stimato della popolazione straniera di paesi esterni all’UE a 15 Stati), tenuta occupazionale femminile (% delle lavoratrici nate all’estero risultate occupate nel corso dell’anno che non hanno conosciuto cessazioni del rapporto di lavoro durante lo stesso anno), lavoro in proprio (% di titolari d’impresa stranieri sul totale dei titolari d’impresa).
Il Rapporto del CNEL rileva come l’imprenditoria straniera in Italia sia un fenomeno in costante crescita anche se non sempre è il frutto di spirito d’iniziativa, essendo spesso obbligato da circostanza estreme (ultimo tentativo di restare ancorati a uno status di regolarità) o dal ricatto di datori di lavoro che mascherano il rapporto dipendente con un contratto a partita Iva. In ogni caso, su un totale nazionale di 6.085.105 titolari d’impresa registrati nel 2009, quelli di cittadinanza estera erano 216.382, pari al 3,6% del totale.