La disoccupazione è aumentata più che tra gli autoctoni, penalizzati soprattutto i lavoratori poco qualificati. Presentato l’ ‘International Migration Outlook’
Roma – 19 settembre 2012 – La recessione economica ha colpito duramente e quasi immediatamente gli immigrati nella maggior parte dei Paesi OCSE. I riscontri indicano che, nel complesso, l’impatto della crisi economica sulla disoccupazione e’ risultato piu’ pronunciato per i migranti che per gli individui nati in loco.
E’ quanto emerge dal Rapporto OCSE 2012 ‘International Migration Outlook‘, presentato questa mattina a Roma presso la sede del Cnel.
In generale, nell’area OCSE, il tasso di disoccupazione tra gli individui nati all’estero e’ aumentato di quattro punti percentuali tra il 2008 e il 2011, rispetto ai 2,5 punti per le persone del posto. Ancor piu’ preoccupante e’ l’aumento nella disoccupazione di lungo periodo tra gli immigrati. Nella maggior parte dei Paesi, i migranti raggiungono una quota compresa tra il 14 e il 30% della percentuale di aumento nella disoccupazione totale di lungo periodo, un dato che, in gran parte dei casi, si attesta molto al di sopra della loro presenza nel totale degli occupati.
La crisi ha colpito diversi gruppi di migranti sotto diversi aspetti: in gran parte dei Paesi, le donne immigrate hanno subito minori ripercussioni rispetto agli uomini nati all’estero; in numerosi Paesi, un numero crescente di donne immigrate ha iniziato a lavorare per compensare le perdite di reddito sofferte dagli uomini immigrati. In termini di livelli di specializzazione, i lavoratori nati all’estero poco qualificati sono stati maggiormente colpiti rispetto a quelli in possesso di qualifiche medie e alte, un fatto non solo legato alle differenze nella distribuzione dell’occupazione per settore, ma anche al tipo di lavori svolti (spesso temporanei) e al minore grado di anzianita’, che implica minori costi di licenziamento per i datori di lavoro.
L’aumento, tra il 2008 e il 2011, nella percentuale di giovani che non studiano, non lavorano ne’ seguono corsi di formazione (not in education, employment or training – NEET)- un indicatore della ”disoccupazione” tra i giovani e’ stato particolarmente marcato tra i migranti, un aspetto particolarmente evidente in Grecia, Irlanda, Italia, Spagna e Svezia. Nella maggioranza dei Paesi, l’incidenza di occupazione temporanea è inoltre aumentata in misura maggiore per i lavoratori giovani nati all’estero che per le rispettive controparti nate in loco o gli adulti nati all’estero (in eta’ compresa tra 25 e 54 anni). Similmente, in alcuni Paesi, la percentuale di occupati a tempo parziale sul totale dell’occupazione e’ aumentata maggiormente per i giovani immigrati che per i giovani del posto.
Sia durante la crisi che durante la ripresa, l’adozione di misure d’intervento specifiche per aiutare i giovani a trovare e mantenere un posto di lavoro e’ ancora piu’ importante per i nati all’estero con scarse qualifiche, che sono vittime di una combinazione di svantaggi (livelli di qualifica bassi, scarsa padronanza della lingua, accesso limitato alle reti), che sono maggiormente esposti al rischio di disoccupazione futura e che risentiranno con maggior probabilita’ di una riduzione del reddito totale durante la loro vita lavorativa (il cosiddetto effetto “cicatrice”).
Nel biennio 2010-2011, rileva il rapporto, si e’ osservato in numerosi Paesi un passaggio a politiche in materia di immigrazione maggiormente restrittive, in risposta alle mutate condizioni economiche e alla crescente sensibilita’ del pubblico sulle problematiche migratorie. I nuovi governi hanno inasprito i controlli sulle procedure di immigrazione e ristretto le possibilita’ di immigrazione di lungo periodo per i migranti con scarse prospettive di impiego. Piu’ in generale, molti governi hanno rivisto le rispettive liste sulle figure professionali richieste e sui programmi di lavoro temporanei e sottoposto i datori di lavoro a maggiori controlli. I sistemi a punti per l’ammissione sono diventati maggiormente modulati sulla domanda e i canali dettati dall’offerta piu’ restrittivi.
L’integrazione continua a rappresentare una priorita’ fondamentale per le politiche dei Paesi OCSE in tema di immigrazione. I Paesi, sottolinea la ricerca, hanno adottato un’ampia gamma di iniziative legate all’integrazione, che spaziano dalla realizzazione di strategie nazionali di ampio respiro al perfezionamento e alla messa a punto dei piani di azione e dei programmi di integrazione esistenti. Il centro dell’attenzione oscilla altresi’ tra gli immigrati gia’ inseriti e i nuovi arrivati. Una tendenza comune tra queste misure di intervento e’ quella di assegnare priorita’ all’integrazione nel mercato del lavoro e di rafforzare gli aspetti formativi dell’integrazione, incluso l’insegnamento della lingua.
Nel corso del decennio, i nuovi immigrati hanno rappresentato il 15% degli ingressi nelle occupazioni in forte crescita in Europa e il 22% negli Stati Uniti e ricoprono, pertanto, un ruolo significativo nelle sezioni piu’ dinamiche dell’economia, anche in condizioni in cui gran parte della migrazione non e’ stata dettata dalla domanda, ma un numero piu’ elevato di immigrati e’ entrato ad occupare le posizioni caratterizzate da un piu’ forte declino: 28% in Europa e 24% negli Stati Uniti. In alcuni Paesi, il dato e’ significativamente piu’ elevato per i lavori meno qualificati, con il rischio di produrre una segmentazione del mercato del lavoro.