Il numero uno del calcio italiano: "Ci si concentra sulle sanzioni e non sui responsabili. Tanti credono che sia normale e legittimo insultare durante le partite"
Roma – 20 febbraio 2014 – Negli stadi non può esserci libertà di insulto. Le polemiche sulle sanzioni fanno perdere di vista la gravità dei comportamenti dei razzisti che si nascondono nelle curve italiane.
È la linea del presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio Giancarlo Abete, intervenuto sulle polemiche di queste settimane a proposito delle decisioni della Giustizia sportiva in tema di cori razzisti o discriminazione territoriale, una fattispecie prevista da sempre e sulla quale è partito dalla Uefa un giro di vite.
In occasione della cerimonia per l'arrivo a Roma della Coppa del Mondo, ieri il presidente della Figc ha risposto alle domande dei giornalisti: “Se passasse il concetto secondo cui questa realtà viene depotenziata in termini sanzionatori – ha detto – assisteremmo tutte le domeniche a una libertà di insulto generalizzata, una dimensione che ha interessato alcune grandi tifoserie, ma non si è manifestata in tanti club professionistici che non hanno avuto questo tipo di problemi".
"Il contrasto è più di carattere sociologico che normativo. Il cuore del problema – ha proseguito Abete, intervenendo dopo le polemiche per la chiusura delle curve della Roma – sono i comportamenti da tollerare oppure no all'interno di uno stadio. C'è una pluralità di persone che ritiene sia legittimo insultare e che questa situazione sia normale allo stadio".
"Il confronto – ha concluso – è su questi temi, non sul fatto se la sanzione è più o meno grave. Quella è una riflessione che si può fare; il cuore del problema non è il tipo di sanzione erogata, bensì la qualità dei comportamenti che devono essere tollerati o meno all'interno dello stadio”.