Parlano gli operatori del centro di accoglienza. "Minori terrorizzati durante gli attacchi, cercavano di spegnere le bombe-carta e di barricarsi dentro"
Roma – 20 novembre 0214 – A Tor Sapienza è uscita fuori la “rabbia dei cittadini” contro “la mancanza delle istituzioni nel quartiere, il degrado delle periferie, la mancanza dei servizi, la criminalità micro e non, la prostituzione sulle strade. Queste considerazioni sono assolutamente condivisibili, sono le conclusioni a non esserlo”.
Lo scrive Gabriella Errico, presidente della cooperativa ‘Un Sorriso, che gestisce il centro di accoglienza preso d'assalto nei giorni scorsi dai residenti nel quartiere alla periferia di Roma. “Che la causa di tutto ciò siano dei minori stranieri o dei rifugiati, è inaccettabile; ed egualmente inaccettabile è che la loro semplice presenza sia vista come segno di degrado, sinonimo implicito di criminalità, insicurezza, abbandono”.
In una lettera pubblicata sul sito della presidente della Camera Laura Boldrini, Errico rivendica che l' immigrazione è “una ricchezza”, ma “va sostenuta e valorizzata”, come cercano di fare i progetti della cooperativa. “Questo non toglie niente ai cittadini italiani. Non ci stiamo a chi aizza la cittadinanza contro i migranti per far dimenticare quali siano i problemi reali e la loro origine”, come ad esempio piani regolatori che “non hanno mai preso in considerazione la dignità del vivere in quartieri pensati e strutturati per le esigenze di chi lo abita”.
Poi c'è il ricordo delle aggessioni del 10 e 11 novembre. “È stato sconcertante vedere i ragazzi minori terrorizzati durante gli attacchi, mentre cercavano di spegnere le bombe-carta con gli idranti antincendio, barricandosi nella struttura con qualsiasi mezzo, scardinando le porte e le testate dei letti per impedire alle porte esterne di aprirsi. La commozione è stata forte quando, pochi giorni dopo essere stati trasferiti nel quartiere dell’Infernetto sono tornati da noi con valigie e buste alla mano, con la forza e la determinazione di chi capisce di subire una ingiustizia e vorrebbe tornare in quella che fino a poco prima era avvertita come qualcosa che quantomeno si avvicinava all’idea di una casa”.
Le minacce e gli attacchi ricevuti in questi giorni dagli operatori, non conentono loro di sentirsi sicur. “I lavoro procede in un clima di insicurezza e precarietà, nonostante la presenza costanze delle forze dell’ordine che presidiano il centro”. Quelle stanze, intanto, sono vuote, con oggetti e abiti abbandonati come se ci fosse stato un terrremoto e tutti fossero scappati.
“Ma questo – conclude Errico – non è un terremoto, è una questione sociale e politica, ed è dovere nostro e delle istituzioni pensare a delle soluzioni che non la diano vinta alla violenza e alla xenofobia ma che incoraggino al contrario la convivenza e la voglia di risolvere insieme i problemi che tutti nel quartiere subiamo”.