Nuova sentenza del tribunale di Milano. “Contributo illegittimo, stranieri discriminati, pagavano troppo. Lo Stato li deve risarcire”
Milano – 11 luglio 2016 – La tassa sui permessi di soggiorno non c’è più, ma bisogna anche risarcire chi l’ha pagata.
Brevissimo riassunto. Il 2 settembre 2015 la Corte di Giustizia Europea ha detto che il contributo per il rilascio e il rinnovo dei permessi era sproporzionato. Il 24 maggio il Tar del Lazio ha annullato il decreto che l’ha introdotto, perchè illegittimo, e quindi, da allora, anche se il governo fa finta di niente e il ministero dell’Interno non dà indicazioni chiare, il contributo non si paga più.
E chi ha già pagato? La risposta (un specie di colpo di grazia) è arrivata l’8 luglio, venerdì scorso, dal tribunale di Milano. La prima sezione civile ha infatti condannato per discriminazione la Presidenza del Consiglio e i ministeri dell’Interno e dell’Economia e ha ordinato loro di risarcire sei immigrati e di pagare le spese processuali.
I sei, assistiti dagli avvocati Livio Neri e Alberto Guariso dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), avevano presentato un ricorso antidiscriminazione. Sostenevano infatti che per i loro permessi erano stati costretti a pagare ingiustamente somme notevolmente superiori a quelle versate dagli italiani, ad esempio, per il rilascio delle carte di identità.
Il giudice Martina Flamini ha dato loro ragione. Innanzitutto, ha scritto ricordando le sentenza della Corte di Giustizia e del Tar, “le disposizioni che determinano la misura del contributo per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno [tra 80 e 200 euro a seconda della durata e della tipologia n.d.r.], nei limiti indicati, sono del tutto illegittime”. Ma quelle disposizioni sono anche discriminatorie.
“I ricorrenti – si legge nell’ordinanza – sono stati discriminati per motivi di nazionalità atteso che gli stessi –in quanto stranieri richiedenti il rinnovo del permesso di soggiorno –, per ottenere il permesso di soggiorno, sono costretti a pagare una somma notevolmente superiore a quella pagata dagli italiani per usufruire di prestazioni dal contenuto analogo”. Il costo del permesso è infatti “circa otto volte più elevato del costo per il rilascio di una carta d’identità nazionale”.
Gestire un permesso di soggiorno, per la pubblica amministrazione, è più difficile che gestire una carta di identità? È quello che hanno sostenuto la Presidenza del Consiglio e i due Ministeri, parlando di “accertamenti complessi”, però non hanno presentato in giudizio alcuna prova che questo sia vero e quindi la loro obiezione non è stata presa in considerazione.
Accertata la discriminazione, il giudice ha anche deciso, quindi, che ai sei ricorrenti andavano restituite le somme versate ingiustamente e ,per calcolarle, ha sottratto a quello che avevano pagato i 27,50 euro previsti quando presentarono la domanda (ora sono 30,46 euro) per la stampa del permesso. Avranno quindi indietro, a seconda dei casi, 145 o 245 euro ciascuno.
“È un’ordinanza importante, perché per la prima volta vengono restituiti i soldi agli immigrati. Abbiamo scelto a strada del ricorso antidiscriminazione perché i presupposti erano già nella sentenza della Corte di Giustizia Europea” dice a Stranieriinitalia.it l’avvocato Alberto Guariso.
E tutti gli altri che hanno pagato ingiustamente? Devono tutti presentare ricorso? “Dipende. Il governo potrebbe e dovrebbe evitare di finire di nuovo in tribunale. Basterebbe un decreto in cui stabilisce un costo equo per il permesso di soggiorno, ma anche come restituire a tutti i soldi versati con la tassa illegittima. Immediatamente, però, devono chiarire a tutti che quella tassa non esiste più”.
Elvio Pasca
Leggi il testo dell’ordinanza del tribunale di Milano (dal sito dell’Asgi)