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Reato di clandestinità: la mancata depenalizzazione non è incostituzionale. La decisione della Corte Costituzionale

Roma, 17 maggio 2024 – L’articolo 1, comma 4, del decreto legislativo n. 8 del 2016, che esclude dalla depenalizzazione il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato previsto dal testo unico immigrazione, non si pone in contrasto con il principio direttivo della legge delega attinente alla cosiddetta depenalizzazione “cieca”, rivolto a depenalizzare i reati puniti con la sola pena pecuniaria.

Lo ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 88, depositata il 13 maggio 2024.

La Corte ha rigettato la questione sollevata dal Tribunale di Firenze, secondo cui la disposizione censurata violerebbe l’articolo 76 della Costituzione perché la legge n. 67 del 2014, delegando in tal senso il Governo a depenalizzare i suddetti reati, avrebbe incluso tra essi anche quello di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, in quanto anch’esso punito con la sola pena pecuniaria dell’ammenda.

La Corte ha precisato che la legge delega, al fine di selezionare i reati che avrebbero dovuto essere depenalizzati, ha utilizzato due criteri: quello della depenalizzazione “cieca”, che prevede la trasformazione in illeciti amministrativi dei reati puniti con la pena pecuniaria, a eccezione di quelli riconducibili ad alcune materie, e quello della depenalizzazione nominativa, che prevede la medesima trasformazione per taluni reati specificamente individuati.

Il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato è compreso tra questi ultimi, con la conseguenza – ha concluso la Corte – che, il censurato articolo 1, comma 4, del d.lgs. n. 8 del 2016, laddove stabilisce che la «disposizione del comma 1 non si applica ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286», non si pone in contrasto con il principio direttivo attinente alla depenalizzazione “cieca”, evocato dal rimettente come norma interposta.

Fonte: Corte Costituzionale/Integrazione Migranti

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