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Migranti e decreti: il braccio di ferro tra governo e magistratura continua

Roma, 5 novembre 2024 – La nave Libra ha recentemente trasferito un altro gruppo di migranti verso l’Albania, in un contesto in cui le tensioni tra il governo italiano e la magistratura si intensificano. Nonostante il decreto legge approvato lo scorso 21 ottobre, che ha ridefinito la lista dei cosiddetti “Paesi sicuri”, i giudici continuano a non convalidare i trattenimenti nei centri di accoglienza, richiamando l’obbligo di conformarsi al diritto dell’Unione Europea.

Il caso più recente riguarda una decisione del tribunale di Catania, che ha respinto il trattenimento di tre cittadini egiziani e due bengalesi, sulla base di gravi violazioni dei diritti umani nei rispettivi Paesi di origine. Il giudice ha ricordato che una designazione governativa di “Paese sicuro” non può esonerare dalla verifica della compatibilità con le norme europee. La decisione fa eco a una sentenza simile del tribunale di Bologna, che aveva rinviato il caso di un richiedente asilo bengalese alla Corte di giustizia europea, sollevando dubbi sulla preminenza del diritto comunitario rispetto a quello nazionale.

Le critiche di Salvini e la reazione dell’ANM

Il vicepremier Matteo Salvini non ha tardato a reagire, accusando alcuni “giudici comunisti” di non applicare le leggi e di rendere l’Italia un “Paese insicuro”. Le parole di Salvini evidenziano un crescente scontro istituzionale tra esponenti del governo e la magistratura, con il ministro che sottolinea la volontà dell’esecutivo di non arrendersi di fronte alle difficoltà poste dal sistema giudiziario.

Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), ha difeso l’operato del tribunale di Catania, sottolineando che la decisione riflette una delle possibili interpretazioni delle norme europee, che spesso prevalgono sulle leggi nazionali nei settori di competenza. Santalucia ha anche espresso preoccupazione per l’allargarsi di una “insofferenza” nei confronti del potere giudiziario, evidenziando un clima di tensione che ora non coinvolge solo i pubblici ministeri, tradizionalmente accusati di faziosità, ma anche i giudici civili, in particolare quelli che si occupano di immigrazione.

Le conseguenze legali e politiche

Il decreto sui “Paesi sicuri”, nato per rispondere alla sentenza della Corte europea di giustizia del 4 giugno scorso, si trova ora a un punto critico. La normativa, pensata per facilitare i rimpatri, è stata sospesa in più occasioni e rimandata nuovamente alla Corte europea per ulteriori chiarimenti. Le pronunce dei tribunali italiani stanno mettendo alla prova la tenuta del decreto e sollevano interrogativi sulla sua applicabilità in un contesto che deve rispettare i diritti fondamentali sanciti dalle istituzioni europee.

Il caso dell’Egitto, in particolare, mette in luce problematiche di fondo: il Paese è stato riconosciuto come teatro di gravi violazioni dei diritti umani, con frequenti casi di detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate e una delle più alte percentuali di esecuzioni capitali al mondo. Analogamente, anche il Bangladesh è stato giudicato non idoneo per rimpatri forzati.

Questo continuo scontro tra magistratura e governo rappresenta non solo un delicato nodo giuridico, ma anche una questione politica di ampia portata, che potrebbe incidere significativamente sulla gestione futura dei flussi migratori in Italia e sulle relazioni tra le istituzioni nazionali e l’Unione Europea.

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