Origini senegalesi, passato di clandestino, tanti trofei. "La fame aiuta a vincere, ma più di tutto conta quello che hai dentro"
Roma – 17 ottobre 2008 – Per Mohammed Alì Ndiaye ogni vittoria è una rivincita. Ma lui, che ce l’avrebbe fatta a diventare un campione di pugilato, l’ha sempre saputo. Sin da quando era bambino e viveva in Senegal, nella periferia di Dakar, e anche quando – da immigrato – ha dovuto fare il venditore ambulante per le spiagge e le strade italiane. "Anche allora non ho mai abbassato la guardia, non mi sono mai abbattuto – racconta Alì –, ho cercato di allenarmi e di avere pazienza, nella convinzione che dopo la pioggia arriva sempre il bel tempo".
Il nome promette bene, la grinta pure e altrettanto i numerosi trofei, cinture e medaglie già conquistate alla giovane età di 28 anni. Una settimana fa, nel Palazzetto dello sport di Pontedera, città in cui vive, Mohammed Alì Ndiaye si è aggiudicato anche il Titolo Italiano dei pesi supermedi. Una vittoria che arriva dopo quelle ottenute al Campionato Ibf (International boxing federation), al mondiale Junior del 2006, al Campionato italiano dilettanti del 2004 e ad altre ancora.
Mohammed Alì è arrivato in Italia da clandestino nel 2000, dopo essere stato in Francia. Dopo aver raggiunto i cugini, che vivono in Toscana, è iniziata la sua strada in salita, "quella che fanno tutti i miei connazionali", dice. "Per due anni non ho potuto combattere – racconta Alì – e poi è arrivato un dono da Dio, Mame Djara, la donna che ho sposato nel 2002 e grazie alla quale la mia vita ha avuto una svolta". Mame Djara, prima di unirsi a Mohammed era Federica, una ragazza siciliana che per amore ha deciso di convertirsi all’islam. "Ma era già interessata al Corano – ci tiene a specificare Alì – ne aveva letto la traduzione italiana ancor prima di conoscermi".
Un incontro casuale, sul treno che portava Alì a vendere collanine e braccialetti, che si è trasformato in una favola. Anche la famiglia di Federica è contenta. "Ci incoraggiano, ci vogliono bene", dice fiero Mohammed, consapevole che non è proprio un fatto scontato. E poi il matrimonio, forse un pò anticipato, ma con i presupposti giusti. Quell’unione darà ad Alì l’opportunità di uscire dalla clandestinità e dalla paura quotidiana, di risalire sul ring e di vincere i campionati con la maglia tricolore.
“Dedico le mie vittorie a mia moglie, che mi sostiene sempre – dice – ma a tifare per me c’è tutta la mia famiglia e la comunità senegalese. Non ho parole per descrivere la gratitudine che ho nei loro confronti. Tutto questo affetto va ripagato con un grande impegno da parte mia”. Dopo il match del 10 ottobre, Alì ha ricevuto la telefonata del presidente senegalese che si è voluto congratulare personalmente e invitarlo in Senegal. "Vorrei donargli i miei guantoni – dice Mohammed – la telefonata mi ha lusingato moltissimo".
Domenica a Pisa la comunità senegalese ha organizzato una festa per Mohammed, divenuto un idolo per tanti di loro. "Ai miei fratelli direi di cercare di restare a casa. Oggi, ovunque vai trovi problemi e difficoltà, a volte più grandi di quelli che lasci dietro le spalle. Io stesso, se potessi praticare il pugilato ad alti livelli in Senegal, lo farei là, e intendo promuovere questo sport lì. Oggi sono cittadino italiano – continua Alì – ma le mie radici sono africane, io ho il colore del Senegal e vincere fuori da casa tua è importante, essere apprezzato e non dimenticato dalla tua terra d’origine è commovente".
Alì Ndiaye si prepara per un incontro a dicembre per la difesa del titolo. Ma il suo traguardo è diventare campione europeo e poi mondiale. L’idolo di Mohammed è il suo omonimo Cassius Clay, convertitosi alla fede musulmana diventando Mohammad Alì. Un caso del destino ha voluto che, durante una visita in Senegal, il pugile più famoso del mondo abbia tenuto in braccio Ndiaye quando era ancora in fasce.
"Voglio diventare come e più di lui – dice – e so di potercela fare con l’impegno, il sacrificio e con l’aiuto di Dio. Ci vuole grande forza di volontà e passione. Nessun pugile proviene da un contesto benestante. E neanche con medaglie e i trofei si riesce a fare la spesa al supermercato. La fame aiuta a vincere, ma più di tutto conta quello che hai dentro, e io credo in me stesso e penso di avere i requisiti per arrivare molto più in alto. Quello che ho fatto finora è solo un piccolo inizio".
Antonia Ilinova