La prefettura: "Il rapporto di lavoro era insussistente o mancavano altri requisiti". La Cisl: "Criteri troppo rigidi, altrove non è andata così. Il Viminale chiarisca"
Brescia – 21 gennaio 2015 – La regolarizzazione a Brescia? Una lentissima ecatombe. Solo una piccola parte (appena il 30%) dei lavoratori stranieri per i quali nel 2012 furono presentate le domande di emersione è arrivata al traguardo del permesso di soggiorno per lavoro.
La provincia di Brescia è un osservatorio importante. Dopo Milano, Roma e Napoli è qui che è stato presentato il maggior numero di domande: 5222. E ora si scopre che su 5191 pratiche definite (per 31 si è ancora in attesa di un secondo parere della Direzione territoriale del Lavoro), quelle respinte sono 3.662, il 70%.
È stato il prefetto Narcisa Brassesco Pace a comunicare ufficialmente i dati qualche giorno fa, durante un incontro con associazioni e sindacati che hanno affiancato gli immigrati in questa lunghissima attesa. E ha spiegato che la stragrande maggioranza delle bocciatura è arrivata a causa dell' insussistenza del rapporto di lavoro e per mancanza di altri requisiti.
A poco sono serviti i ricorsi presentati al Tar. "Su un totale di 691 – ha detto il prefetto– quelli respinti sono stati il 78% del totale e questo, in qualche misura, rispecchia la correttezza dell’operato di tutti coloro che hanno lavorato alle pratiche per l’emersione dal lavoro nero".
Sindacati e associazioni, però, protestano. “Non si capisce perché in altre province la percentuale di domande rigettate si attesta sul 25-30%, mentre a Brescia siamo al 70% .O tutte le persone che non avevano diritto ad essere regolarizzate hanno presentato la domanda a Brescia, o c’è qualcosa che non va” ha detto Giovanna Mantelli, componente della Segreteria provinciale della Cisl.
La Cisl e gli altri sindacti vogliono chiedere ufficialmente lumi al ministero dell'Interno, “per comprendere se la rigida applicazione della legge sia frutto di un’interpretazione degli uffici della Prefettura. Un esempio: a Brescia non sono stati ritenute valide, a dimostrazione della presenza in Italia, certificazioni delle parrocchie che attestano la partecipazione a corsi di italiano, mentre a Bergamo hanno accettato anche certificati firmati da singoli sacerdoti”