Dalle commissioni affari costituzionali e giustizia via libera alle nuove sanzioni per chi impiega clandestini. A patto però che il governo faccia una regolarizzazione
Roma – 14 giugno 2012 – È ancora in alto mare, ma all’orizzonte appare una regolarizzazione.
Il varco si è aperto in Senato, dove Popolo delle Libertà, Partito Democratico e Terzo Polo hanno trovato un accordo nel silenzioso lavoro delle commissioni e chiedono al governo di muoversi. Non solo, indicano anche i dettagli della procedura: mille euro pagati dai datori di lavoro per ogni lavoratore irregolare permetterebbero ai primi di salvarsi dalle sanzioni, ai secondi di mettersi finalmente un tasca il permesso di soggiorno.
Facciamo un passo indietro. Tutto gira intorno allo schema di decreto legislativo licenziato il 16 aprile dal Consiglio dei ministri per recepire la direttiva 2009/52/Ce che introduce norme minime relative a sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Sottoposto al parere di Camera e Senato, è tornato al governo e ora si attende l’approvazione definitiva.
Permesso per pochi
Così come è uscito da Palazzo Chigi, il testo prevede una regolarizzazione dei lavoratori solo in casi relativamente rari.
Già oggi, chi dà lavoro a un immigrato senza permesso è punito con l’arresto da sei mesi a tre anni e una multa di cinquemila euro per ogni lavoratore impiegato. A questo si aggiungono le sanzioni amministrative per la violazione degli obblighi retributivi e contributivi. Per il lavoratore è prevista l’espulsione.
Lo schema di decreto del governo aggiunge però un’aggravante per i casi di particolare sfruttamento. Le pene per i datori aumentano infatti da un terzo alla metà se i lavoratori sono più di tre, se sono minori con meno di sedici anni, o se sono sottoposti a “condizioni di grave pericolo”, tenendo conto delle “caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro”.
Solo in questi casi, se il lavoratore denuncia il datore e collabora durante il processo, può ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Durerebbe sei mesi e sarebbe rinnovabile per un anno o più finchè si arriva alla fine del processo, ma potrebbe anche essere convertito in un permesso per lavoro se intanto il cittadino straniero trova un’altra occupazione, ovviamente regolare.
È evidente, quindi, che non si vedrebbero regolarizzazioni di massa, uno scenario escluso esplicitamente dallo stesso governo. “Per quanto riguarda la stima dei potenziali beneficiari di permesso temporaneo… è presumibile che il numero finale sarà nei fatti trascurabile” si legge nella relazione tecnica che accompagna lo schema di decreto, che azzarda anche una stima: meno di duemila.
Il Senato: “Sì al decreto, ma serve anche una regolarizzazione”
Il 5 giugno scorso le Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato di Palazzo Madama hanno espresso parere positivo sullo schema di decreto, ma condizionandolo al fatto che il governo faccia una nuova regolarizzazione.
“Per garantire la massima efficacia del nuovo sistema sanzionatorio – scrivono i senatori – è necessario che l’introduzione delle nuove norme produca l’emersione più ampia possibile del lavoro nero, il conseguente recupero fiscale e contributivo da parte dello Stato e la contestuale tutela del lavoratore illegale sfruttato”. “In questa chiave è essenziale prevedere la non applicazione delle sanzioni a carico di quei datori di lavoro che scelgano di autodenunciarsi e siano disposti a regolarizzare la posizione dei lavoratori impiegati clandestinamente, nonché a corrispondere loro le retribuzioni e i contributi arretrati che sarebbero stati dovuti in caso di assunzione regolare”.
Il governo dovrebbe quindi prevedere “una fase transitoria entro la quale i soggetti interessati, compresi i datori di lavoro stranieri titolari del permesso di lungo soggiorno CE, possono volontariamente adeguarsi alle norme di legge ed evitare così le sanzioni più gravi, dichiarando entro un termine certo il rapporto di lavoro irregolare, con l’onere per il datore di lavoro dei pagamenti retributivi, contributivi e fiscali pari ad almeno tre mesi e con il pagamento di un contributo di 1.000 euro per ciascun lavoratore”.
Il lavoratore coinvolto in questo “procedimento di emersione dall’irregolarità”, non verrebbe punito per la sua condizione di immigrato clandestino e otterrebbe anzi un “permesso di soggiorno per lavoro”. Il Senato chiede però al governo di prevedere anche “rigorosi meccanismi di controllo per scongiurare abusi e per evitare l’applicazione del meccanismo dell’emersione a favore di stranieri condannati ovvero espulsi per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato”.
Tocca al governo
Si chiede insomma una sanatoria per gli immigrati, per le imprese e per le famiglie che li impiegano. Nulla di nuovo, solo molto più costoso rispetto al passato. Proprio il passato insegna però che nella maggior parte dei casi sono i lavoratori e non i datori a pagare le regolarizzazioni e quindi quei mille euro a testa sembrano davvero troppi.
Per lo Stato, sarebbe comunque un affare. Con cinquecentomila adesioni (è una stima ricorrente sugli irregolari in Italia) incasserebbe subito e una tantum cinquecento milioni di euro, ai quali si aggiungerebbero però cinque miliardi di euro ogni anno in tasse e contributi, tanto valgono infatti, secondo la Cgil, cinquecentomila nuovi lavoratori regolari.
Ora tocca al governo. Il parere del Senato non è vincolante, ma certo per i Professori sarà difficile ignorare le indicazioni della maggioranza che li sostiene.
Elvio Pasca