Roma – 4 settembre 2009 – Il nuovo reato di “ingresso e soggiorno illegale dello Stato” è incostituzionale?
Il dubbio era stato già sollevato da insigni giuristi durante la discussione della nuova legge sulla sicurezza. Adesso però il reato di clandestinità finisce al vaglio della Consulta, unico organo che può decidere se una legge è contraria alla Costituzione e, in tal caso, annullarla.
A chiedere l’intervento della Corte Costituzionale è stato il 31 agosto un giudice di Pesaro, durante il processo a un giovane senegalese, Ibrahima D., fermato a Fano senza permesso di soggiorno. Secondo la nuova legge, Ibrahima andrebbe condannato per ingresso e soggiorno illegale, reato che però, secondo il giudice, contrasterebbe con una sfilza di principi e norme costituzionali.
Innanzitutto, si legge nell’ordinanza segnalata oggi dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), viene meno il principio di ragionevolezza. Il nuovo reato sarebbe infatti “privo di effetti concreti”, perché “praticamente nessuno” pagherà la multa da cinque a diecimila euro, mentre l’espulsione era “già prevista e possibile anche prima”.
Violati anche il principio di uguaglianza (art.3) e di personalità della responsabilità penale (art. 27), perché il reato “presuppone arbitrariamente riguardo a tutti l’esistenza di una condizione di pericolosità sociale che, per giustificare l’affermazione di una responsabilità penale”. Responsabilità che “deve invece essere accertata in concreto e con riferimento alle singole persone”.
Sarebbe inoltre a rischio il principio di solidarietà (articoli 2 e 3, 1° e 2° comma), perché il nuovo reato provoca un “radicale mutamento nello spirito e negli atteggiamenti dei cittadini, degli stranieri regolari e della società nel suo complesso , nei confronti di persone in condizione di povertà, obiettive difficoltà di vita, bisognose di solidarietà e accoglienza”. Il contrario insomma di quella “società aperta e solidale” “voluta dai costituenti”.
Il reato di clandestinità contrasta poi con l’articolo 10 della Costituzione, perché non è in linea con “i principi affermati in materia di immigrazione nel diritto internazionale”. Infine, viola gli articoli 3 e 27, perché non prevede “la mancanza di giustificato motivo come elemento costitutivo del reato o quanto mene come esimente codificata”
C’è n’è abbastanza, secondo il giudice di Pesaro, per sospendere il giudizio contro Ibrahima e passare la palla alla Corte Costituzionale. Facendo così tremare l’architrave della linea dura voluta da governo e maggioranza contro gli immigrati clandestini.
Elvio Pasca