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Corte Cassaz 7 febbraio 2008 presenza interprete nel processo penale

Cassazione Sentenza n. 4929 del 7 febbraio 2008

PROCESSO PENALE – PRESENZA DELL’INTERPRETE – GARANZIA DEL DIRITTO DI DIFESA DELL’IMPUTATO STRANIERO

L’estensione dell’obbligo di tradurre anche atti scritti del procedimento, che abbiano l’oggetto indicato dal comma 1 dell’articolo 143 c.p.p. ( cioè per poter comprendere l’accusa contro formulata con lo stesso e di seguire il compimento degli atti cui partecipa), si ancora al dettato costituzionale. Detta norma nel definire significativamente il contenuto dell’attività dell’interprete in dipendenza della finalità di garantire all’imputato che non intende la lingua italiana, di comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il conferimento degli atti a cui partecipa, concepisce, la figura dell’interprete, cosi innovando rispetto al codice precedente, in funzione del diritto di difesa, quale strumento di reale partecipazione dell’imputato al processo attraverso l’effettiva comprensione dei distinti atti e dei singoli momenti di svolgimento dello stesso. Da ciò consegue che l’articolo 143 Cpp è da ritenere norma suscettibile di applicazione estensibile a tutte le ipotesi in cui l’imputato, ove non potesse giovarsi dell’ausilio di un interprete, vedrebbe pregiudicato il suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale

Cassazione – Sezione sesta penale (up) –

sentenza 23 novembre 2006-7 febbraio 2007, n. 4929

 

Presidente Lattanzi – Relatore Martella Pm Monetti – ricorrente T. ed altri

 

Fatto e diritto

 

1. T. Stoyan Georgiev e A. Leonard ricorrono per cassazione avverso la sentenza 3.5.2005 della Corte di appello di Napoli, che confermava quella del G.U.P. dell’omonimo Tribunale, con la quale entrambi erano stati riconosciuti colpevoli del delitto di cui agli articoli 110 Cp e 73 comma 1 Dpr 309/90 commesso il 20.6.2004 e condannati alla pena ritenuta di giustizia. Deducono, come comune motivo di censura: nullità della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Napoli del 16.12.2004, nonché dell’ordinanza del 3.5.2005 della Corte di appello di Napoli, con la quale era stata respinta l’eccezione sollevata dai difensori relativa alla mancata traduzione della sentenza nella lingua loro nota (bulgara per il T. e inglese per l’A.), con conseguente riconoscimento di un nuovo termine utile ad esercitare la facoltà conferita dall’articolo 571 comma 4 Cpp.

 

Si denuncia, pertanto: violazione, ex articolo 606 comma 1 lettera c) Cpp, dell’articolo 143 n. 1 Cpp, dell’articolo 178 lettera e) Cpp e 111 della Carta costituzionale.

 

Tale dedotta nullità attinge anche la impugnata sentenza, in quanto anch’essa non tradotta nella lingua madre dei due imputati.

 

Inoltre, eccepisce il T.:

 

– in linea gradata, che, ove non si riconosca all’articolo 143 Cpp, una capacità espansiva di cui alla sentenza 10/1993 della Corte costituzionale, l’interpretazione restrittiva di tale norma non potrebbe sfuggire a censura d’illegittimità costituzionale, per violazione degli articoli 3 comma 1, 24 comma 2, 111 comma 2 Costituzione nonché 544, commi 1, 2, 3 e 4 e 546 Cpp, nella parte in cui delle norme non prevedano che, ove la sentenza sia pronunciata nei confronti di un cittadino straniero, che non parli e non conosca la lingua italiana, la motivazione della stessa debba essere tradotta: il che, infatti, determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra l’imputato straniero che ignora la lingua italiana e gli imputati che non versano in tale particolare condizione. Ulteriore profilo d’illegittimità costituzionale viene dedotto, stante la violazione dell’articolo 76 Costituzione, in quanto la norma non rispetta la direttiva espressa dall’articolo 2, prima parte della legge 81/1987 (delega al governo per esecuzione del nuovo codice di procedura penale), che prescrive il rispetto delle norme e delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, relative ai diritti della persona e al processo penale, e che vengono all’uopo richiamate.

 

– Violazione, ex articolo 606 n. 1 lettera e) Cpp, dell’articolo 125 Cpp e dell’articolo 62bis Cpp: nullità della sentenza per omessa e manifestamente illogica motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, espressamente richieste nell’atto di appello, non avendo la Corte territoriale fornito alcuna concreta motivazione in ordine ai motivi di appello con cui il difensore aveva richiesto la concessione delle attenuanti generiche per l’assoluta incensuratezza dell’imputato, oltre che per il comportamento processuale da lui tenuto. Si richiama come detta motivazione appaia assolutamente apparente per quanto concerne sia la pretesa gravità del fatto e manifestamente illogica, in relazione alla supposta attività pregressa di corriere dell’imputato.

 

L’A. ulteriormente deduce:

 

– ai sensi dell’articolo 606 comma 1 lettera e) Cpp, la mancanza di motivazione, in violazione dell’articolo 125 comma 3 Cpp, della decisione della Corte di appello di Napoli relativamente alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche (in quanto disposte molti mesi prima nell’ambito di un diverso procedimento penale), nonché sull’omessa motivazione su come sarebbe stato possibile per esso ricorrente acquistare 1.240,70 grammi di eroina con la modica somma di 700, 00 euro;

 

– ai sensi dell’articolo 606 comma 1 lettera e) Cpp, la mancanza di motivazione della stessa decisione, relativamente alla mancata derubricazione del reato contestato all’ipotesi del delitto tentato ex articolo 56 Cp, nonostante l’arresto fosse avvenuto prima che esso ricorrente potesse entrare nella disponibilità della sostanza stupefacente sequestrata nella stanza di albergo affittata dal T.; nonché relativamente alla commisurazione della pena ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

 

2. Il Collegio ritiene fondato il primo motivo di ricorso comune ad entrambi gli imputati e ciò in conformità al principio ermeneutico affermato nella sentenza delle Su 399298/06 Cieslinsky sulla base di fonti normative fondamentali, quali: il dettato dell’articolo 6, comma 3, lettera a) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (sottoscritto a Roma il 4.11.1950 nell’ambito del Consiglio d’Europa, entrato in vigore per l’Italia con legge 848/55) e dell’articolo14, comma 3 lettera a), del Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici (sottoscritto a New York il 16.12.1966 ed entrato in vigore per l’Italia con legge 881/77), secondo cui “ogni accusato ha diritto a essere informato nel più breve spazio di tempo, nella lingua che egli comprende e in maniera dettagliata, della natura e dei motivi dell’accusa a lui rivolta”, nonché l’articolo 111 comma 3 u.p., della Costituzione, modificato con legge costituzionale 2/1999, secondo cui “la legge assicura che una persona accusata di un reato sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo”.

 

La stessa Corte costituzionale, con sentenza 10/93, ha affermato che “in linea generale, il diritto all’interprete può essere fatto valere ed essere fruito, stando al tenore letterale dell’articolo 143 Cpp, ogni volta che l’imputato abbia bisogno della traduzione nella lingua da lui conosciuta in ordine a tutti gli atti a cui partecipa, sia scritti che orali”. Consegue che, l’imputato straniero che si trovi in Italia, ha diritto di ottenere, sin dal primo diretto contatto con l’autorità che procede (Cassazione, Su 5053/03, Zalagaitis), la traduzione degli atti a lui diretti, se non conosce la lingua italiana.

 

Da queste premesse normative e di sistema, consegue che l’estensione dell’obbligo di tradurre anche atti scritti del procedimento, che abbiano l’oggetto indicato dal comma 1 dell’articolo 143, si ancora al dettato costituzionale, talché detta norma nel definire significativamente il contenuto dell’attività dell’interprete in dipendenza della finalità di garantire all’imputato che non intende la lingua italiana, di comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il conferimento degli atti a cui partecipa, concepisce, la figura dell’interprete, cosi innovando rispetto al codice precedente, in funzione del diritto di difesa, quale strumento di reale partecipazione dell’imputato al processo attraverso l’effettiva comprensione dei distinti atti e dei singoli momenti di svolgimento dello stesso.

 

Da ciò consegue che l’articolo 143 Cpp è da n’tenere norma suscettibile di applicazione estensibile a tutte le ipotesi in cui l’imputato, ove non potesse giovarsi dell’ausilio di un interprete, vedrebbe pregiudicato il suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale.

 

Ciò avviene nella fattispecie, dato che gli imputati, ignorando la lingua italiana, non sono stati in grado di comprendere la motivazione delle sentenze di primo e secondo grado, avverso le quali, ai sensi dell’articolo571 comma 4 Cpp avrebbero potuto e potrebbero ancora depositare i propri motivi di impugnazione, persino in contrasto con quelli del difensore, ovvero potrebbero togliere validità all’impugnazione presentata da quest’ultimo.

 

Da quanto sopra consegue, la declaratoria di nullità della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Ca di Napoli, previa notificazione agli imputati della sentenza di primo grado tradotta nella loro rispettiva lingua per l’eventuale presentazione nel termine di un ulteriore atto di appello. Le ulteriore doglianze dedotte da ritenere assorbite nel presente decisum.

 

PQM

 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Ca di Napoli, previa notificazione agli imputati della sentenza di primo grado tradotta nella loro rispettiva lingua per l’eventuale presentazione nel termine di un ulteriore atto di appello.

 

 

 

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