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Corte di Giustizia Sentenza 11 settembre 2008 Violazione obblighi Italia libera circolazione

Con il ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, avendo mantenuto nella sua normativa il requisito della cittadinanza italiana per l’esercizio degli impieghi di capitano e ufficiale (comandante in seconda) su tutte le navi battenti bandiera italiana, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell’art. 39 CE.

L’art. 39, nn. 1-3, CE sancisce il principio della libera circolazione dei lavoratori e l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri. L’art. 39, n. 4, CE prevede tuttavia che le disposizioni di tale articolo non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione.

Uno Stato membro è autorizzato a riservare ai propri cittadini i posti di capitano e di comandante in seconda delle navi battenti la sua bandiera solo a condizione che i poteri d’imperio attribuiti ai capitani e ai comandanti in seconda di tali navi vengano effettivamente esercitati in modo abituale e non rappresentino una parte molto ridotta delle loro attività.

Nel ricorso per inadempimento in esame è dimostrato dalla Commissione e ammesso dalla Repubblica italiana, come risulta chiaramente dalle ultime memorie di quest’ultima, che la normativa italiana contiene disposizioni che esigono la cittadinanza italiana per l’esercizio delle funzioni di capitano e di ufficiale, comandante in seconda, su tutte le navi battenti bandiera italiana. 

Risulta infatti tanto dalle memorie della Commissione quanto da quelle della Repubblica italiana che l’art. 119 del codice della navigazione, che prevede che possano essere iscritti nelle matricole della gente di mare i cittadini italiani, resta in vigore, così come l’art. 239, n. 2, del regolamento di esecuzione, che esige, ai fini di detta iscrizione, la produzione di un certificato di cittadinanza italiana.

Orbene, dal fascicolo non emerge che i capitani e gli ufficiali (comandanti in seconda) esercitino effettivamente poteri di pubblico imperio in modo abituale a bordo di tutte le navi battenti bandiera italiana, per una parte delle loro attività
Inoltre, la Repubblica italiana ammette che un ostacolo all’esercizio delle professioni in questione da parte dei cittadini di altri Stati membri potrebbe derivare dall’art. 4, n. 2, del decreto del Presidente della Repubblica italiana 9 maggio 2001, n. 324, che esclude il riconoscimento dei certificati relativi all’esercizio delle funzioni di capitano e di comandante in seconda rilasciati o convalidati dalle autorità competenti di uno Stato membro a cittadini di altri Stati membri dell’Unione.

Il ricorso della Commissione deve quindi essere considerato fondato.

SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)
11 settembre 2008 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Art. 39 CE – Impieghi nella pubblica amministrazione – Capitani e ufficiali (comandanti in seconda) di navi – Attribuzione di poteri di imperio a bordo – Requisito della cittadinanza dello Stato membro di bandiera»

Nella causa C 447/07,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 1° ottobre 2007,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. G. Rozet e dalla sig.ra L. Pignataro-Nolin, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. S. Fiorentino, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta dal sig. L. Bay Larsen (presidente di sezione), dai sigg. P. Kūris (relatore) e J. C. Bonichot, giudici,
avvocato generale: sig. Y. Bot
cancelliere: sig. R. Grass
vista la fase scritta del procedimento,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza

1        Con il ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, avendo mantenuto nella sua normativa il requisito della cittadinanza italiana per l’esercizio degli impieghi di capitano e ufficiale (comandante in seconda) su tutte le navi battenti bandiera italiana, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell’art. 39 CE.
 Normativa italiana
2        Ai sensi dell’art. 119 del codice della navigazione italiano (in prosieguo: il «codice della navigazione»), concernente i «requisiti per l’iscrizione nelle matricole e nei registri», «possono conseguire l’iscrizione nelle matricole della gente di mare i cittadini italiani (…)». A tal fine, l’art. 239, n. 2, del regolamento di esecuzione di detto codice (in prosieguo: il «regolamento di esecuzione») esige la produzione di un certificato di cittadinanza italiana.
3        Conformemente agli artt. 203 e 296 del codice della navigazione, i capitani esercitano le funzioni di ufficiale dello stato civile e possono ricevere testamenti. Inoltre, in applicazione dell’art. 1235, n. 2, dello stesso codice, essi esercitano le funzioni di ufficiali di polizia giudiziaria a bordo in corso di navigazione.
 Procedimento precontenzioso
4        Il 18 ottobre 2005, la Commissione ha inviato alla Repubblica italiana una lettera di messa in mora, con la quale attirava l’attenzione di tale Stato membro sulle sentenze 30 settembre 2003, causa C 405/01, Colegio de Oficiales de la Marina Mercante Española (Racc. pag. I 10391), nonché causa C 47/02, Anker e a. (Racc. pag. I 10447), in materia di obbligo di cittadinanza per accedere agli impieghi di capitano e comandante in seconda su navi battenti bandiera degli Stati membri interessati. Essa rilevava che, malgrado un richiamo del 14 febbraio 2005, non era stata comunicata alcuna risposta ad una lettera dei suoi servizi datata 9 giugno 2004, con la quale si chiedeva alla Repubblica italiana se la sua normativa prevedesse un simile obbligo e, in caso affermativo, quali fossero le misure che tale Stato membro aveva adottato o aveva previsto di adottare per adeguare la sua normativa al diritto comunitario conformemente all’interpretazione fornita dalla Corte in tali sentenze. Detta lettera invitata le autorità italiane a presentare le loro osservazioni entro un termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione.
5        Con lettera 27 dicembre 2005 le autorità italiane hanno risposto alla lettera di messa in mora affermando che la normativa nazionale esigeva che le persone che svolgono le funzioni di capitano e di comandante in seconda di navi battenti bandiera italiana fossero cittadini italiani. Esse hanno fatto valere che tale requisito era giustificato dai poteri di imperio regolarmente esercitati da tali persone.
6        Ritenendo insoddisfacente detta risposta, il 15 dicembre 2006 la Commissione ha emesso un parere motivato invitando la Repubblica italiana ad adottare le misure necessarie a conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione.
7        Il 22 maggio 2007 la Repubblica italiana ha risposto a detto parere motivato precisando che essa riteneva possibile rinunciare all’obbligo della cittadinanza italiana per accedere ai posti di comandante e di primo ufficiale (comandante in seconda) su tutte le navi battenti bandiera italiana e consentire l’accesso alla professione di altri cittadini comunitari, a condizione di verificare la loro conoscenza della lingua e della legislazione marittima italiana, nonché delle funzioni pubbliche del comandante e del primo ufficiale. A tal riguardo, lo stesso Stato membro ha segnalato che era in corso di esame un progetto di modifica dell’atto di trasposizione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 settembre 2005, 2005/45/CE, riguardante il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare e recante modificazione della direttiva 2001/25/CE (GU L 255, pag. 160).
 Sul ricorso
 Argomenti delle parti
8        Nel suo ricorso la Commissione, facendo riferimento alle citate sentenze Colegio de Oficiales de la Marina Mercante Española nonché Anker e a., fa valere che la normativa italiana, che esige il requisito della cittadinanza italiana per esercitare le funzioni di capitano e di comandante in seconda su tutte le navi battenti bandiera italiana, non è conforme all’art. 39 CE, che sancisce il principio della libera circolazione dei lavoratori, come interpretato dalla Corte in tali due sentenze. Essa osserva che, nella sua risposta al parere motivato, la Repubblica italiana non ha contestato l’inadempimento dedotto, ma ha comunicato la sua intenzione di rinunciare a tale obbligo di cittadinanza per accedere a detti impieghi, impegnandosi ad informare la Commissione dell’esito delle consultazioni tra i ministeri interessati.
9        Nel suo controricorso la Repubblica italiana ammette che il requisito della cittadinanza italiana per accedere agli impieghi di capitano e di comandante in seconda è ancora previsto all’art. 119 del codice della navigazione, nonché all’art. 239 del regolamento di esecuzione. Essa rileva che tali disposizioni, tuttavia, devono essere interpretate alla luce dell’art. 23 del decreto legislativo 2 maggio 1994, n. 319 (Supplemento ordinario alla GURI n. 123 del 28 maggio 1994; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 319/94»), che prevede un’equiparazione dei cittadini degli Stati membri della Comunità europea ai cittadini italiani ai fini dell’iscrizione nelle matricole e nei registri di cui agli artt. 118-120 e 121, relativi al personale marittimo, e agli artt. 132 e 133, relativi al personale della navigazione interna, del codice della navigazione, nonché ai fini della formazione degli equipaggi di cui agli artt. 318 e 319 dello stesso codice.
10      La Repubblica italiana aggiunge che, successivamente al parere motivato, il decreto legislativo n. 319/94 è stato abrogato dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (Supplemento ordinario alla GURI n. 261 del 9 novembre 2007), recante trasposizione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 settembre 2005, 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (GU L 255, pag. 22).
11      Lo stesso Stato membro ammette che un ostacolo all’esercizio delle professioni di cui trattasi da parte dei cittadini di altri Stati membri potrebbe ancora derivare dall’art. 4, n. 2, del decreto del Presidente della Repubblica italiana 9 maggio 2001, n. 324 (Supplemento ordinario alla GURI n. 187 del 12 agosto 2001), che traspone nell’ordinamento giuridico italiano le direttive del Consiglio 25 maggio 1998, 98/35/CE, che modifica la direttiva 94/58/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare (GU L 172, pag. 1), e della Commissione 16 luglio 1998, 98/54/CE, recante modifica delle direttive 71/250/CEE, 72/199/CEE, 73/46/CEE e che abroga la direttiva 75/84/CEE (GU L 208, pag. 49), in quanto detta disposizione esclude il riconoscimento dei certificati relativi all’esercizio delle funzioni di capitano e di comandante in seconda rilasciati o convalidati dalle autorità competenti degli altri Stati membri. Facendo riferimento alla sua risposta al parere motivato, di cui conferma il contenuto, la Repubblica italiana rinnova il suo impegno a rimuovere, con il regolamento di trasposizione della direttiva 2005/45, qualsiasi ambiguità e qualsiasi ostacolo eventuale, al fine di aprire la professione marittima a tutti i cittadini dell’Unione.
12      Nella replica la Commissione sostiene, in particolare, che il decreto legislativo n. 319/94 non elimina il requisito della cittadinanza italiana previsto agli artt. 119 del codice della navigazione e 239, n. 2, del regolamento di esecuzione. Essa aggiunge che tale decreto legislativo è stato abrogato dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, che non contiene alcuna disposizione specifica relativa alle professioni di cui trattasi e non disciplina i requisiti per l’iscrizione nelle matricole della gente di mare di cui fanno parte anche i capitani e i secondi. Essa sottolinea che la stessa Repubblica italiana riconosce la necessità di modificare la sua normativa al riguardo.
13      Nella sua controreplica la Repubblica italiana ricorda che, nel controricorso, essa non ha contestato l’inadempimento dedotto, ma si è limitata a formulare alcune considerazioni sull’interpretazione della normativa nazionale. Essa rileva che le dimissioni del governo italiano e l’organizzazione di nuove elezioni politiche generali hanno impedito l’adozione dei provvedimenti menzionati nel suo controricorso.
 Giudizio della Corte
14      Occorre rammentare che l’art. 39, nn. 1-3, CE sancisce il principio della libera circolazione dei lavoratori e l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri. L’art. 39, n. 4, CE prevede tuttavia che le disposizioni di tale articolo non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione.
15      Emerge dalla giurisprudenza della Corte che l’art. 39, n. 4, CE, in quanto prescrive una deroga al principio fondamentale della libera circolazione e della parità di trattamento dei lavoratori comunitari, deve ricevere un’interpretazione che ne limiti la portata a quanto strettamente necessario per salvaguardare gli interessi che esso consente agli Stati membri di tutelare (citate sentenze Colegio de Oficiales de la Marina Mercante Española, punto 41, nonché Anker e a., punto 60 e giurisprudenza ivi citata).
16      A tale riguardo, relativamente agli impieghi di capitano e di comandante in seconda della marina mercantile e di comandante di navi da pesca, la Corte ha dichiarato, rispettivamente ai punti 44 e 63 delle citate sentenze Colegio de Oficiales de la Marina Mercante Española nonché Anker e a., che il ricorso alla deroga alla libera circolazione dei lavoratori, prevista dall’art. 39, n. 4, CE, non può essere giustificato dal mero fatto che l’ordinamento nazionale attribuisce poteri d’imperio ai titolari degli impieghi di cui trattasi; inoltre, occorre che tali poteri vengano effettivamente esercitati in modo abituale dai suddetti titolari e non costituiscano una parte molto limitata delle loro attività.
17      Ai punti 49 e 68, rispettivamente, delle citate sentenze Colegio de Oficiales de la Marina Mercante Española nonché Anker e a., la Corte ha altresì dichiarato che un’esclusione generale dall’accesso ai detti impieghi non può essere giustificata da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica di cui all’art. 39, n. 3, CE.
18      La Corte ha quindi affermato, nelle dette sentenze, che l’art. 39, n. 4, CE deve essere interpretato nel senso che autorizza uno Stato membro a riservare ai propri cittadini i posti di capitano e di comandante in seconda delle navi battenti la sua bandiera solo a condizione che i poteri d’imperio attribuiti ai capitani e ai comandanti in seconda di tali navi vengano effettivamente esercitati in modo abituale e non rappresentino una parte molto ridotta delle loro attività (v. altresì, in tal senso, sentenza 11 marzo 2008, causa C 89/07, Commissione/Francia, punto 14).
19      Nel ricorso per inadempimento in esame è dimostrato dalla Commissione e ammesso dalla Repubblica italiana, come risulta chiaramente dalle ultime memorie di quest’ultima, che la normativa italiana contiene disposizioni che esigono la cittadinanza italiana per l’esercizio delle funzioni di capitano e di ufficiale, comandante in seconda, su tutte le navi battenti bandiera italiana. 
20      Risulta infatti tanto dalle memorie della Commissione quanto da quelle della Repubblica italiana che l’art. 119 del codice della navigazione, che prevede che possano essere iscritti nelle matricole della gente di mare i cittadini italiani, resta in vigore, così come l’art. 239, n. 2, del regolamento di esecuzione, che esige, ai fini di detta iscrizione, la produzione di un certificato di cittadinanza italiana.
21      Orbene, dal fascicolo non emerge che i capitani e gli ufficiali (comandanti in seconda) esercitino effettivamente poteri di pubblico imperio in modo abituale a bordo di tutte le navi battenti bandiera italiana, per una parte delle loro attività che non sia molto ridotta.
22      Inoltre, la Repubblica italiana ammette che un ostacolo all’esercizio delle professioni in questione da parte dei cittadini di altri Stati membri potrebbe derivare dall’art. 4, n. 2, del decreto del Presidente della Repubblica italiana 9 maggio 2001, n. 324, che esclude il riconoscimento dei certificati relativi all’esercizio delle funzioni di capitano e di comandante in seconda rilasciati o convalidati dalle autorità competenti di uno Stato membro a cittadini di altri Stati membri dell’Unione. Nella sua controreplica, essa rileva, a tal proposito, che non ha potuto adottare le misure idonee a porre fine all’inadempimento contestato, come annunciato nel suo controricorso, a causa delle dimissioni del suo governo e dell’organizzazione di nuove elezioni politiche generali.
23      A tale riguardo, va ricordato che, secondo una giurisprudenza costante, la sussistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi (v., in particolare, sentenze 30 gennaio 2002, causa C 103/00, Commissione/Grecia, Racc. pag. I 1147, punto 23, e 13 settembre 2007, causa C 260/04, Commissione/Italia, Racc. pag. I 7083, punto 18). Di conseguenza, le modifiche della normativa italiana menzionate dalla Repubblica italiana nella sua risposta al parere motivato e nel suo controricorso non avrebbero comunque potuto essere prese in considerazione dalla Corte, qualora fossero state adottate.
24      Il ricorso della Commissione deve quindi essere considerato fondato.
25      Ne consegue che si deve dichiarare che, avendo mantenuto nella sua normativa il requisito della cittadinanza italiana per l’esercizio degli impieghi di capitano e ufficiale (comandante in seconda) su tutte le navi battenti bandiera italiana, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell’art. 39 CE.
 Sulle spese
26      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara e statuisce:
1)      Avendo mantenuto nella sua normativa il requisito della cittadinanza italiana per l’esercizio degli impieghi di capitano e ufficiale (comandante in seconda) su tutte le navi battenti bandiera italiana, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell’art. 39 CE.
2)      La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Firme
 
* Lingua processuale: l’italiano.

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