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Cittadinanza. Per rigettare bisogna valutare obiettivamente l’integrazione dello straniero

Roma – 10 maggio 2013 – Con la sentenza n. 201304433 del 14 marzo 2013 (depositata il 06 maggio 2013), il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato da un cittadino congolese che si è visto rigettare la richiesta di cittadinanza per una condanna risalente al momento del suo arrivo in Italia.

Nel presente caso, il ricorrente risiede stabilmente in Italia dalla fine degli anni 70, è titolare di una ditta individuale, ha tre figli nati in Italia (diventati italiani ai sensi dell’art. 4, comma 2 della Legge 91/92), ha conseguito tre lauree in Italia ed è iscritto all’Albo dei Periti del Tribunale penale di Roma. Nel 2000 ha presentato la domanda per la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, lett. f), della legge sulla cittadinanza.

Trascorsi i 730 giorni per il trattamento della pratica, il Ministero dell’Interno ha espresso il parere negativo, provvedimento che è stato notificato all’interessato quasi un anno dopo. Il rigetto era basato sulla presenza, a carico del congolese, di un’unica condanna penale, con pena sospesa e non menzione sul casellario, emessa nel 1979 per guida senza patente e in stato di ebbrezza, condizione, questa, secondo la Pubblica Amministrazione ostativa della concessione della cittadinanza italiana.

Sebbene i giudici riconoscono il potere discrezionale dell’Amministrazione in merito al riconoscimento della cittadinanza per gli stranieri, fanno presente che i criteri di valutazione in merito all’inserimento  del richiedente nel tessuto sociale, devono necessariamente essere bilanciati con gli eventuali benefici derivanti dal riconoscimento della cittadinanza, soprattutto, e questo il caso di specie,  a coloro che,  oltre ad essere ben inseriti nella società sono anche soggetti meritevoli.

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