Tribunale Amministrativo regionale del Lazio, Sezione II quater, sentenza n. 12555/2007
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO (Sezione II quater)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. /2006 proposto da A, rappresentata e difesa dall’avv. Pietro Massarotto e dall’avv. Mario Ciccarelli ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Antonio Fusillo in Roma, Via Marcello Prestinari, n. 15;
contro
la Prefettura di Milano, in persona del Prefetto pro-tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui sono legalmente domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
per l’annullamento, previa sospensiva,
– del decreto del Ministero dell’Interno del 13.06.2005 n. K_10/80918 con il quale è stata respinta l’istanza di concessione della cittadinanza italiana presentata dalla ricorrente in data 14.08.2002.
– nonché di tutti gli atti allo stesso preordinati, presupposti, consequenziali e comunque connessi;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il Primo Refendario Floriana Rizzetto;
Uditi all’udienza pubblica del 31 ottobre 2007 l’avv. Massarotto per la ricorrente e l’avv.to dello Stato Saulino per il Ministero dell’Interno;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
91 in ragione del mancato possesso del requisito di un reddito personale ed attuale.
L’atto di diniego gravato è illegittimo in quanto, nel valutare il possesso di autonomi mezzi di sostentamento, l’amministrazione non avrebbe tenuto conto del contesto familiare nella quale la ricorrente è inserita e del reddito del marito, ampiamente superiore all’ammontare minimo prescritto per ottenere il beneficio in questione.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, che ha chiesto il rigetto del gravame per infondatezza nel merito.
Con ordinanza n. 4361 del 26.7.2006 è stata respinta l’istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato.
Con ordinanza presidenziale n. 132 del 7.3.2007 sono stati disposti incombenti istruttori, eseguiti in data 14.5.2007.
All’udienza pubblica del 31 ottobre 2007 la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
L’art. 9, comma 1, lett.f) della L. n. 91/1992 [1] prevede che la cittadinanza può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro competente, allo straniero che risiede, legalmente, da almeno dieci anni nel territorio dello Stato.
Nel silenzio della legge in relazione a precisi requisiti reddituali, la giurisprudenza si è espressa con orientamento ormai consolidato affermando che i criteri di valutazione per la concessione della cittadinanza italiana possono legittimamente comprendere la verifica di congruità dei redditi dell’aspirante, i quali devono essere tali garantire in ogni caso l’autosufficienza economica, consentendogli di mantenere adeguatamente e continuativamente sé e la famiglia senza gravare (in negativo) sulla comunità nazionale e concorrendo anzi (in positivo) all’adempimento dei doveri di solidarietà economica e sociale connessi al rapporto di cittadinanza (cfr. tra tante, di recente, C.d.S., IV, n. 6063 del 14.5.02; ).
Tale essendo la finalità della disposizione in esame appare evidente che il principale, articolato, motivo di ricorso, con cui la ricorrente lamenta la mancata considerazione delle capacità reddituali altrui, atte a garantirne un adeguato tenore di vita, non può essere condiviso, in quanto il requisito reddituale in questione deve essere attuale e personale, come precisato da precedenti decisioni su casi analoghi (T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 10 gennaio 2005 , n. 4).
Ne consegue che la lamentata mancata considerazione della possibilità per l’istante di essere adeguatamente mantenuta dal marito, cittadino iraniano, imprenditore in possesso di adeguato reddito, non configura alcun vizio di legittimità dell’atto impugnato.
Correttamente l’amministrazione non si è limitata a verificare la mera possibilità per la ricorrente di poter disporre, in via indiretta e derivata dal lavoro altrui, mezzi che superano il livello minimale di reddito in quello fissato per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria per il cittadino titolare della pensione di vecchiaia, ma ha altresì valutato la provenienza esterna di tali mezzi, e quindi l’incapacità reddituale dell’istante.
Alla stregua della ratio della normativa sopra richiamata, va infatti considerata l’attitudine reddituale personale dell’interessata e non quella della familiare, per le ragioni sopra richiamate, che la concessione della cittadinanza presuppone, in capo all’istante, non solo il possesso del requisito negativo, di non gravare sulla collettività, ma altresì quello positivo, volto a giustificare l’attribuzione in capo al richiedente di tale status, di apportare un contributo ulteriore ed autonomo alla comunità di cui entra a far parte.
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Orbene, nella fattispecie in esame, la ricorrente è in possesso solo del primo requisito, cioè di non gravare sulla collettività di cui entra a far parte, atteso che a tale evenienza è tenuto a sopperire il marito, perlomeno finchè permanga lo stato di coniugio ed il medesimo disponga di mezzi sufficienti.
L’istante non ha invece dimostrato il possesso del secondo positivo requisito, cioè di essere in grado di apportare un contributo “ulteriore ed autonomo” alla comunità di cui entra a far parte, atteso che la situazione familiare in parola, se vale ad assicurare comunque il mantenimento della predetta a carico del marito, non garantisce in alcun modo che la stessa possa liberamente disporre del reddito famigliare per fornire il proprio contribuito allo Stato di nuova adozione, dovendo a tal fine chiedere ed ottenere il consenso del titolare del reddito, il quale, non essendo un cittadino italiano, non sarebbe tenuto ad adempiere ad alcun dovere solidarietà economica e sociale nei confronti di quello che per lui, per sua scelta, è e rimane un Paese straniero in cui si trova temporaneamente a soggiornare, e del quale non ha richiesto la cittadinanza.
Né giova alla ricorrente invocare sentenze in senso opposto, in quanto l’orientamento giurisprudenziale richiamato concerne, principalmente, il diverso caso dei minori vissuti per lungo tempo in Italia, la cui capacità reddituale autonoma va considerata tenendo conto della possibilità di sostegno economico familiare nei primi tempi di inserimento lavorativo, essendo in tali casi il (diverso) favor giustificato dalla circostanza che trattasi di soggetti cresciuti nel Paese – circostanza che, unita alla nascita in Italia, ne consente l’acquisto della cittadinanza per naturalizzazione – e quindi con un legame maggiormente qualificato rispetto a chi vi faccia ingresso in età adulta.
Il ricorso va pertanto respinto in quanto infondato.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio, ivi compresi diritti ed onorari.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II quater, respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 31 ottobre 2007 con l’intervento dei Magistrati:
Renzo CONTI Presidente f.f.
Solveig COGLIANI Consigliere
Floriana RIZZETTO Primo Referendario, est.
Depositata in Segreteria il 5 dicembre 2007