TAR Lombardia Sentenza del 24 ottobre 2008 diniego rinnovo pds per pericolosità sociale
TAR Lombardia Sentenza n.1413 del 24 ottobre 2008 diniego rinnovo pds per pericolosità sociale
Nel caso di specie, un cittadino albanese, ha ottenuto il primo permesso di soggiorno nel 1991, poi rinnovato nel 1994. In seguito, per diversi anni, non ha più chiesto il rinnovo del titolo, che è scaduto il 6 marzo 1998. Solo il 10 ottobre 2005, quando era detenuto, il ricorrente ha presentato la relativa istanza di rinnovo alla Questura di Bergamo, la quale tuttavia in data 10 agosto 2006 ha adottato un provvedimento di diniego.
Il diniego di rinnovo si basa sui precedenti penali del ricorrente, qualificati come elemento ostativo ai sensi dell’art. 4 comma 3 del Dlgs. 25 luglio 1998 n. 286.
Tuttavia, contro il diniego di rinnovo il ricorrente ha presentato impugnazione per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento e per difetto di istruttoria e violazione dell’art. 5 comma 5 del Dlgs. 286/1998, in quanto non sarebbero stati considerati gli elementi sananti sopravvenuti.
I fatti sopravvenuti non risultano sufficienti a compensare l’allarme sociale provocato dalla non episodica attività svolta dal ricorrente nel traffico degli stupefacenti. La presunzione di allarme sociale porta l’Amministrazione e respingere il ricorso.
N. 01413/2008 REG.SEN.
N. 01375/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1375 del 2006, proposto da:
HARIZI ADMERIN, rappresentato e difeso dagli avv. Omar Chiari e Roberto Mazzetti, con domicilio eletto presso l’avv. Claudia Brioni in Brescia, via Vittorio Emanuele II 60;
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, QUESTORE DI BERGAMO, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio in Brescia, via S. Caterina 6;
per l’annullamento
– del decreto del Questore della Provincia di Bergamo Cat.A.11/IMM/2006/GB/Rig 163 del 10 agosto 2006, con il quale è stata respinta l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno del ricorrente;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno – Questura di Bergamo;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2008 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente Admerin Harizi, cittadino albanese, ha ottenuto il primo permesso di soggiorno nel 1991, poi rinnovato nel 1994. In seguito, per diversi anni, non ha più chiesto il rinnovo del titolo, che è scaduto il 6 marzo 1998. Solo il 10 ottobre 2005, quando era detenuto nella casa circondariale di Bergamo, il ricorrente ha presentato la relativa istanza alla Questura di Bergamo, la quale tuttavia in data 10 agosto 2006 ha adottato un provvedimento di diniego.
2. Il diniego di rinnovo si basa sui precedenti penali del ricorrente, qualificati come elemento ostativo ai sensi dell’art. 4 comma 3 del Dlgs. 25 luglio 1998 n. 286. Oltre ad alcune condanne minori la Questura ha individuato una condanna a 4 anni di reclusione e € 5.164,67 di multa per spaccio di stupefacenti (App. Milano 10 aprile 2000), una condanna a 1 anno e 4 mesi di reclusione e € 180 di multa per favoreggiamento della prostituzione (App. Brescia 17 luglio 2003) e una condanna a 4 anni e 8 mesi di reclusione e € 20.000 di multa per detenzione illecita di stupefacenti (App. Brescia 26 settembre 2005).
3. Contro il diniego di rinnovo il ricorrente ha presentato impugnazione con atto notificato il 3 novembre 2006 e depositato il 10 novembre 2006. Le censure si possono così riassumere: a) mancata comunicazione dell’avvio del procedimento; b) difetto di istruttoria e violazione dell’art. 5 comma 5 del Dlgs. 286/1998, in quanto non sarebbero stati considerati gli elementi sananti sopravvenuti; c) illegittimità costituzionale dell’art. 4 comma 3 del Dlgs. 286/1998 nella parte in cui connette in modo automatico la perdita del titolo di soggiorno alla condanna per alcuni reati, sia pure di particolare gravità. L’amministrazione si è costituita in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.
4. Poiché nelle more del giudizio è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 148 del 16 maggio 2008 è necessario esaminare il ricorso a partire dal terzo motivo, proposto in via subordinata per il caso in cui l’art. 4 comma 3 del Dlgs. 286/1998 fosse da interpretare nel senso dell’automatica perdita del permesso di soggiorno in presenza di determinate condanne. Nella suddetta sentenza la Corte ha affrontato l’argomento precisando che l’automatismo espulsivo è un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione. Secondo la Corte, in relazione ad alcuni reati, quali quelli collegati al traffico di stupefacenti, una simile scelta legislativa non appare manifestamente irragionevole considerando che si tratta di ipotesi delittuose spesso implicanti contatti profondi con le organizzazioni criminali. Non sembrano quindi esservi margini, in mancanza di nuovi elementi normativi o di fatto, per proporre un’altra volta la questione di legittimità costituzionale.
5. Oltretutto nel caso in esame la proposizione della questione di legittimità costituzionale non è neppure necessaria, in quanto il ricorrente è in Italia dal 1991 e quindi presenta un collegamento con l’ordinamento statale che lo pone sotto la tutela della direttiva 2003/109/CE del 25 novembre 2003 sui soggiornanti di lungo periodo. La stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 148/2008 a proposito dei soggiornanti di lungo periodo richiama le norme di garanzia contenute nell’art. 9 comma 4 del Dlgs. 286/1998, come sostituito dall’art. 1 del Dlgs. 8 gennaio 2007 n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE), riconoscendo che le suddette norme, ispirate a ragioni umanitarie e solidaristiche, impongono una valutazione in concreto dei singoli casi dalla quale potrebbe derivare il superamento delle cause ostative al rinnovo dei titoli di soggiorno.
6. Tale valutazione deve essere effettuata anche quando non sia stato ancora formalmente acquisito lo status di soggiornante di lungo periodo: questo status è infatti interamente disciplinato dal diritto comunitario, sia nei presupposti sia nelle conseguenze, e ha come oggetto il bene della vita rappresentato dalla continuità della permanenza all’interno del territorio dell’Unione. Pertanto il diritto allo status si acquista non come effetto di un provvedimento di secondo grado che si innesta sul permesso di soggiorno ordinario rilasciato dai singoli Stati ma come conseguenza della maturazione dei requisiti di tempo e radicamento sociale previsti dalle norme comunitarie. In effetti la giurisprudenza amministrativa appare orientata a svolgere una valutazione secondo il diritto comunitario pur in presenza di condanne penali che consentirebbero l’allontanamento automatico dello straniero in base all’art. 4 comma 3 del Dlgs. 286/1998 (v. CS Sez. VI 1 ottobre 2008 n. 4743).
7. Passando ora al primo motivo di ricorso si osserva che la valutazione in concreto implica il contraddittorio con l’interessato e quindi la comunicazione di avvio del procedimento o quantomeno (trattandosi di procedimento a istanza di parte) la comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990 n. 241. La mancanza di queste garanzie procedurali non conduce però in modo automatico all’annullamento dell’atto finale perché si deve tenere conto della norma sulla resistenza degli atti amministrativi ora codificata nell’art. 21-octies comma 2 della legge 241/1990. In generale per gli atti a contenuto vincolato le irregolarità procedimentali non assumono il rilievo di autonomi vizi qualora si accerti che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Ancora più ampia è la prova di resistenza ammessa se l’irregolarità consiste nella mancata comunicazione dell’avvio del procedimento (a cui può essere assimilata la mancanza del preavviso di diniego), perché in tal caso l’esame dell’invariabilità può essere effettuato anche per atti non vincolati (come il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno quando sia conseguente a una valutazione in concreto della situazione dello straniero). Di conseguenza l’allegazione di vizi formali si trasforma in una censura di travisamento dei fatti che deve essere esaminata in combinazione con i rilievi attinenti al merito della vicenda.
8. A questi profili sostanziali è dedicato il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta la sottovalutazione degli elementi favorevoli al rinnovo del permesso di soggiorno. In particolare il ricorrente evidenzia che durante la carcerazione si sarebbe verificata una discontinuità rispetto alla condotta precedente, e richiama in proposito il giudizio positivo formulato il 15 giugno 2005 dall’equipe di osservazione presso la casa circondariale di Bergamo per l’avvio di un percorso di reinserimento sulla base di eventuali benefici premiali. Peraltro tale percorso non è stato avviato in quanto il ricorrente ha usufruito dell’indulto nel 2006. In carcere il ricorrente ha conseguito anche un attestato professionale come addetto alla panificazione. Al di fuori del carcere le possibilità di reinserimento sarebbero legate alle presenza in Italia di numerosi familiari e alla proposta di assunzione formulata da uno di questi in qualità di titolare di una pizzeria.
9. I fatti sopravvenuti non risultano tuttavia sufficienti a compensare l’allarme sociale provocato dalla non episodica attività svolta dal ricorrente nel traffico degli stupefacenti. La presunzione di allarme sociale è corretta non solo con riferimento ai parametri nazionali di cui all’art. 4 comma 3 del Dlgs. 286/1998 ma anche in relazione a quelli comunitari. Al riguardo si sottolinea che in base all’art. 96 par. 2 della Convenzione attuativa dell’Accordo di Schengen (CAAS) uno straniero extracomunitario rappresenta una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica quando sia intervenuta una condanna a pena detentiva superiore a un anno oppure nel caso di reato connesso con la cessione diretta o indiretta di stupefacenti (v. anche l’impegno a prevenire e reprimere il traffico illecito degli stupefacenti di cui all’art. 71 CAAS). A fronte di questa presunzione non sussiste nel caso specifico un particolare radicamento sociale, in quanto il ricorrente si è sottratto per molti anni alle verifiche collegate al rinnovo del permesso di soggiorno e si è dedicato nel frattempo ad attività illecite. La presenza di familiari bene inseriti in Italia non ha operato in precedenza come fattore di equilibrio e quindi non può essere considerata una garanzia per il futuro.
10. In conclusione il ricorso deve essere respinto. Le spese possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione staccata di Brescia, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.
Le spese sono integralmente compensate tra le parti.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2008 con l’intervento dei Magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Mario Mosconi, Consigliere
Mauro Pedron, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/10/2008
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO