Nonostante la forte crisi che investe il settore, il numero di imprese gestite da immigrati e’ cresciuto di quasi il 5%
Roma, 16 dicembre 2011 – Il settore delle costruzioni e’ tra quelli piu’ gettonati dagli immigrati imprenditori. Nel corso dell’ultimo anno, nonostante la forte crisi che investe il settore, il numero di imprese gestite da immigrati e’ cresciuto di quasi il 5%.
E’ quanto emerge dal 6° Rapporto Ires-Fillea ‘Lavoratori stranieri nel settore delle costruzioni’, presentato nella sede nazionale della Fillea, a Roma, in occasione dell’assemblea del sindacato dei lavoratori edili sulle politiche dell’immigrazione.
A stimolare la spinta imprenditoriale degli immigrati nel settore, secondo il rapporto, la caratterizzazione ‘micro’ del sistema delle imprese che favorisce la nascita delle aziende individuali o di piccolissime dimensioni, la mancanza di particolari controlli nell’avviare una propria azienda edile, un sistema di produzione fondato sul subappalto, il meccanismo del ‘vacancy chain’ (la concentrazione di imprese di proprieta’ degli immigrati in settori poco redditizi e con basse barriere all’entrata) e ovviamente anche la capacita’ dei lavoratori di valorizzare la propria esperienza e professionalita’ in un percorso imprenditoriale.
“Ma, chiaramente, non tutti i lavoratori autonomi – si osserva – sono imprenditori e, soprattutto, non tutti i lavoratori scelgono liberamente di diventare autonomi. In molti casi, infatti, la scelta viene fatta dalle imprese e subita dal lavoratore, costretto a fingersi autonomo per continuare a lavorare sempre per lo stesso datore di lavoro, perdendo in tal modo le tutele e le garanzie del lavoro dipendente e evitando all’impresa di doversi preoccupare del suo costo”.
I dati rivelano come il lavoro autonomo straniero sia maggiormente caratterizzato – rispetto a quello italiano – da questi fattori combinati tra loro. Tra gli autonomi solo il 18% degli stranieri ha dei dipendenti (contro il 37% degli italiani). Mentre la percentuale degli autonomi senza dipendenti e senza autonomia di orario e’ oltre il doppio tra gli stranieri rispetto a quella tra gli italiani (rispettivamente circa il 20% e il 9%).