Venerdì esce nelle sale il film di Cristina Comencini che racconta la nuova realtà multietnica, tra pregiudizi, malintesi e luoghi comuni
Roma – 8 gennaio 2008 – C’era una volta “Bianco, rosso e verdone”, pellicola che ogni italiano conosce. Oggi, l’Italia vive una realtà nuova, quella di “Bianco e nero”, l’ultimo film di Cristina Comencini. Esce nelle sale il prossimo venerdì e sin dal titolo fa capire che i tempi sono cambiati. Il Bel Paese di oggi sta diventando l’America di “Indovina chi viene a cena?”. E il tema arriva anche nei cinema dello Stivale, attraverso curiosità, difficoltà, stereotipi e malintesi.
La regista mette in scena i luoghi comuni, i falsi moralismi, il razzismo, palese o sotteso, che contraddistinguono la nuova società italiana. E lo fa con il tono della commedia, scegliendo di non rappresentare l’immigrato che vive ai margini della società, ma un ambiente borghese dove, apparentemente, non c’è differenza tra "bianco e nero". Ma differenza c’è e come, e persino sul set, dove gli attori di colore non hanno trovato uno sponsor per gli abiti perché sembra che “il nero non faccia vendere”.
La trama vede protagonisti Carlo (Fabio Volo) ed Elena (Ambra Angiolini), una coppia borghese con una figlia. Lei, mediatrice culturale, paladina dell’eguaglianza tra bianchi e neri, che sposa ogni causa a favore dell’Africa. Almeno fino a quando Carlo non si innamora di Nadine (Aissa Maiga, un’attrice immigrata in Francia all’età di quattro anni), la bellissima moglie senegalese di Bertrand, un intellettuale nero, collega di Elena. Un terreno fertile per dare spago ai luoghi comuni: "li facciamo venire qui e ci rubano i mariti", "i neri hanno il ritmo nel sangue", oppure "non potrà mai funzionare, perché sono troppo diversi". Ma la diffidenza e il rifiuto caratterizzano la reazione non solo dei familiari di Carlo, ma anche di quelli di Nadine, accomunati dalla convinzione che l’amore bicolore, in Italia, non è ancora possibile.
"Dopo essere tornata da un viaggio in Africa ho iniziato a osservare che né io né i miei conoscenti avevamo amici di colore. – ha spiegato la regista – Ho iniziato a frequentare coppie miste, italo-africane, e ho scoperto un mondo: mi hanno raccontato gag, fraintendimenti, luoghi comuni e cose buffe di cui sono stati protagonisti. A me interessava raccontare questa nuova realtà in tono lieve e divertente, forzando a volte anche il limite del politicamente corretto, per sfatare tanti pregiudizi".
In effetti Cristina Comencini è la prima regista italiana, riuscita a portare sul grande schermo un tema ancora fatto di tabù e di conflitti. L’assenteismo nel cinema italiano di un argomento così attuale parla da solo della complessità di una nuova realtà dai molteplici volti e piena di sfumature. Una realtà in cui gli immigrati non sono da tempo solo quelli delle carrette del mare, ma ricoprono posizioni di rilievo nella società. E a volte hanno a loro volta sentimenti di diffidenza e pregiudizio nei confronti dei bianchi o di chi immigrato non è e non sa cosa significa esserlo.
"Il film racconta anche un amore come non ne esistono più – aggiunge la regista – negli anni settanta si frequentavano anche persone di classi e ambienti sociali diversi, oggi c’è paura di questa osmosi. Io spero che si torni di nuovo a conoscersi, a non avere paura di rompere gli schemi, a non aver paura di conoscere l’altro. E spero che il film aiuti anche a riaprire un dibattito su questi temi".
AV