Il disegno di legge europea 2013 dà speranze solo di chi ha la carta di soggiorno. Alla Camera si cercherà di allargare il campo con un ordine del giorno
Roma – 26 luglio 2013 – Il disegno di legge europea 2013, già approvato dal Senato e in corso di esame alla Camera, prevede che possano accedere al pubblico impiego anche gli immigrati che hanno un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, la cosiddetta “carta di soggiorno”. Qui i dettagli.
A guardare il bicchiere mezzo pieno, è una novità importante, un passo avanti significativo per cancellare una discriminazione contro i lavoratori stranieri. È però innegabile che, per una parificazione piena, dovrebbero poter aspirare a un posto nella Pubblica amministrazione tutti i cittadini stranieri che hanno già il diritto di lavorare in Italia, oggi limitato solo al settore privato.
Viene da chiedersi perché chi può fare impiegato in un’azienda non possa fare l’impiegato anche in un ministero.
“La formulazione del disegno di legge europea è in contrasto con un orientamento della giurisprudenza ormai stabilmente favorevole a una piena parificazione, in materia, di ogni straniero legalmente soggiornante al cittadino comunitario” commenta Sergio Briguglio, esperto di immigrazione, che segue l’evoluzione della normativa anche attraverso il suo celebre archivio online.
Su cosa si sono basate le decisioni dei giudici finora? Sul fatto che l’Italia ha ratificato nel 1981 la Convenzione Oil 143/1975, che parifica i lavoratori stranieri legalmente soggiornanti e lavoratori nazionali. Ma anche sulla constatazione che alcune categorie di immigrati, come i familiari stranieri di cittadini comunitari, sono già ammessi a lavorare nella Pubblica amministrazione, e non per particolari meriti di “fedeltà” alla Repubblica.
“Tra le eccezioni -sottolinea Briguglio – possono esserci anche persone arrivate qui illegalmente, come il clandestino che abbia poi sposato in Italia un cittadino dell’Unione europea. Se lo Stato e la sua legge non vedono motivi per vietare l’accesso al pubblico impiego a queste persone, su che base dovrebbero vietarlo, per esempio, allo straniero che abbia appena conseguito un dottorato di ricerca alla Bocconi”?
Il ragionamento si sta facendo strada anche a Montecitorio, dove Partito Democratico, Sinistra Ecolologia Libertà e Movimento Cinque Stelle hanno presentato in commissione emendamenti (identici) per allargare la previsione del disegno di legge europea. Se questi passassero, potrebbero accedere al pubblico impiego “i cittadini di Paesi terzi che siano titolari di un permesso di soggiorno che consente lo svolgimento di attività lavorativa”.
Ad essere realisti, però, quegli emendamenti non passeranno. Il governo chiederà di ritirarli. Modificando il testo alla Camera dei Deputati, bisognerebbe infatti mandarlo di nuovo in Senato, ma con le tante procedure di infrazione avviate a Bruxelles ritardare il percorso del disegno di legge europea costerebbe caro all’Italia.
Partita chiusa? Non è detto. Il senso di quegli emendamenti, quando il ddl arriverà in Aula, verrà probabilmente ripreso da un ordine del giorno, sostenuto da diversi gruppi, che impegna il governo ad aprire finalmente i concorsi pubblici agli stranieri, purchè abbiano un permesso valido per lavorare in Italia. Il percorso, insomma, si allunga, ma non è detto che non porti al traguardo.
Elvio Pasca