in

Respingimenti. La Corte Europea decide se l’Italia ha violato i diritti dei migranti

Il 23 febbraio la sentenza sul ricorso di un gruppo di somali ed eritrei riportati in Libia nel 2009. L’Unione Forense per i Diritti Umani: “Potrebbe essere una svolta nell’ammissione delle responsabilità e nella gestione dell’immigrazione”

Roma – 16 febbraio 2012 – I respingimenti migranti verso la Libia l’Italia ha violato i diritti umani? A questa domanda risponderà tra una settimana della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con una sentenza che potrebbe essere un terremoto e segnare anche la futura collaborazione con il nuovo governo di Tripoli.

Il 23 febbraio la Grande Camera della Corte si pronuncerà su un ricorso presentato a Strasburgo da 11 somali e 13 eritrei. Facevano parte di un gruppo di duecento migranti intercettati il 6 maggio 2009 a 35 miglia a sud di Lampedusa, mentre cercavano di raggiungere l’isola a bordo di un barcone. Furono caricati su navi italiane e riportati in Libia senza che, denunciano, fossero prima identificati, ascoltati o preventivamente informati sulla loro destinazione.

Secondo i ricorrenti, rappresentati dagli avvocati Mario Lana e Andrea Saccucci dell’Unione Forense per i Diritti Umani, i respingimenti attuati dalle autorità italiane sono contrari al principio di non-refoulement, che vieta l’espulsione verso un paese ove sussista il rischio di essere sottoposto a torture o pene e trattamenti inumani e degradanti (art. 3 CEDU). Avrebbero poi violato l’art. 4 del protocollo n° 4 alla Convenzione che vieta l’espulsione collettiva degli stranieri e l’art. 13, che garantisce il diritto ad un ricorso effettivo.

Tra le persone intercettate potevano verosimilmente esserci dei richiedenti asilo o protezione internazionale, cui è stato impedito di presentare domanda in Italia. Tra l’altro, sono state rispedite in Libia, dove si rischia di subire maltrattamenti nei centri di detenzione oppure il rimpatrio verso il proprio Paese d’origine senza potersi avvalere della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato, mai ratificata dal paese nordafricano.

I respingimenti, già condannati da molte organizzazioni umanitarie e dall’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati, si inserivano nella collaborazione contro l’immigrazione illegale prevista dall’accordo di amicizia tra Italia e Libia firmato nel 2008 da Berlusconi e Gheddafi. Tra le argomentazioni presentate del Governo Italiano contro il ricorso, c’è anche che all’epoca del fatto la Libia sarebbe stato un Paese sicuro.

Eppure due dei ricorrenti, Ermias Berhane e Tsegay Habtom, hanno trascorso gli ultimi due anni nelle carceri libiche e denunciano ora gli abusi e le violenze subite. Berhane intanto è riuscito a raggiungere nuovamente il territorio italiano e si è visto riconoscere lo status di rifugiato.

“È stato prima respinto, dunque, e poi giudicato titolare del diritto d’asilo, a dimostrazione della contraddittorietà della politica dei respingimenti attuata dall’Italia” sottolinea in una nota l’Unione dell’Unione Forense per i Diritti Umani. “La pronuncia della Corte – aggiunge – avrà un enorme impatto a livello politico e, qualora avesse esito positivo nel senso di dare ragione ai ricorrenti, segnerà una svolta nell’ammissione delle responsabilità e nella gestione del fenomeno migratorio in Italia”.

EP

Clicca per votare questo articolo!
[Totale: 0 Media: 0]

Negozi etnici. Sì alla “legge Harlem”, giro di vite in Lombardia

Borghezio: “Immigrazione sregolata, ci vorrebbero i bastoni”