Tre immigrati trattenuti nel centro d’espulsione di Crotone erano imputati per danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale. Il giudice non li punisce: erano lì illegittimamente e in condizioni al “limite della decenza” , quindi reagirono a "offese ingiuste".
Roma – 8 gennaio 2012 – Dal 9 al 15 ottobre scorso tre cittadini stranieri, un tunisino, un algerino e un marocchino, furono i protagonisti di una rivolta nel centro di identificazione ed espulsione di Isola capo Rizzuto, Crotone. Tra le altre cose, salirono sul tetto e lanciarono sulla Polizia suppellettili, rubinetti e grate. Lo fecero, però, per “legittima difesa” e quindi non risponderanno dei reati di danneggiamento e di resistenza a pubblico ufficiale.
Ad assolverli, il 12 dicembre scorso, è stato il Tribunale di Crotone, con il giudice Edoardo D'Ambrosio che ha sposato la linea dei difensori, gli avvocati Natale De Meco, Eugenio Naccarato e Giuseppe Malena. E non ha accolto la richiesta del pm Francesco Carluccio, che voleva una condanna a 1 anno e 8 mesi di reclusione.
Secondo D'Ambrosio, quella rivolta era una “difesa proporzionata all'offesa”. Innanzitutto perché i provvedimenti di trattenimento “erano privi di motivazione, e dunque illegittimi alla luce dell'articolo 15 della direttiva n. 115 del 2008, così come interpretato dalla Corte di Giustizia europea”. Omettevano infatti “del tutto l'indicazione delle ragioni specifiche in forza delle quali non era stato possibile adottare una misura coercitiva meno afflittiva del trattenimento presso il Cie”.
C’erano poi da considerare le condizioni di vita nel centro, con “materassi luridi, privi di lenzuola e con coperte altrettanto sporche, lavabi e “bagni alla turca” luridi, asciugamani sporchi, pasti in quantità insufficienti e consumati senza sedie né tavoli”. Strutture ”al limite della decenza”, cioè, ha spiegato il giudice, “non convenienti alla loro destinazione: che è quella di accogliere essere umani. E, si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale. Lo standard qualitativo delle condizioni di alloggio non deve essere rapportato a chi magari è abituato a condizioni abitative precarie, ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di razza”.
Gli imputati sono stati quindi vittima di “offese ingiuste”, alle quali hanno opposto una “legittima difesa”. Senza alcuna sproporzione, anzi: “il confronto tra i beni giuridici in conflitto – si legge nella sentenza – è pacificamente a favore dei beni difesi (dignità umana e libertà personale), rispetto a quelli, offesi, del prestigio, efficienza e patrimonio materiale della pubblica amministrazione”.