Fermi i progetti di rientro assistito. Il Ministero dell’Interno non può aiutare, deve denunciare
Roma – 27 novembre 2009 – Il reato di clandestinità trattiene in Italia i clandestini. Un paradosso che Roberto Maroni conosce bene, perché è proprio il suo ministero ad aver finanziato dei progetti che riporrebbero molti sans-papier a casa, se non fosse bloccato dalla nuova legge sulla sicurezza.
Andiamo con ordine. L’Unione Europea incoraggia i rientri volontari, considerandoli una prima opzione da percorrere prima di passare alle maniere forti. In questa cornice, il Fondo Europeo per il Rimpatrio e il Ministero dell´Interno co-finanziano il “Programma per l’assistenza al ritorno volontario dall’italia e reintegrazione nel paese di origine” (Partir) e il ”Networking Italiano per il Rimpatrio Volontario" (Nirva).
Questi due progetti aiutano chi vuole ritornare a casa, organizzandogli il viaggio, pagandogli il biglietto e una piccola indennità di reinserimento e, in alcuni casi, anche sostenendolo nella creazione di una microimpresa in patria. A guidare la cordata e a coordinare gli interventi è l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, mentre Caritas, Acli e Cir lavorano sul territorio, per informare e avviare gli immigrati al rimpatrio.
L’inizio è promettente. Si formano gli operatori, si stampa e distribuisce il materiale informativo e si procede ai primi rientri assistiti. I progetti sono aperti a diverse categorie di immigrati particolarmente vulnerabili (come richiedenti asilo e vittime di tratta), ma da subito il grosso delle richieste arriva da persone senza permesso di soggiorno.
“Tra i primi che abbiamo fatto rientrare ci sono decine di marocchini truffati a San Nicola Varco, nel salernitano. Avevano pagato degli intermediari per venire in italia come stagionali con i flussi, ma una volta qui i loro datori di lavoro si erano volatilizzati o comunque si erano rifiutati di assumerli” racconta Flavio Di Giacomo, addetto stampa dell’Oim.
Il reato ferma tutto
Poi, all’inizio di agosto, è entrata in vigore al legge sulla sicurezza con il reato di immigrazione clandestina, e il Viminale ha scoperto che sta finanziando dei progetti che non può far funzionare.
"Il nuovo reato ci ha bloccato. Ogni caso preso in carico dalla nostra rete – spiega Di Giacomo – va segnalato al ministero dell’interno, che però ora sarebbe costretto a denunciare per clandestinità chi non ha il permesso di soggiorno”.
Insomma, con la legge sulla sicurezza non puoi aiutare un clandestino a tornare volontariamente a casa, devi portarlo per forza davanti al giudice e fargli un’espulsione. Quindi i rimpatri assistiti oggi sono accessibili solo a chi il permesso già ce l’ha. Ma quanti sono regolari disposti a tornare a casa?
“Così il rimpatrio assistito diventa molto poco allettante” taglia corto Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas. “Le persone che si rivolgono ai nostri sportelli sono quasi sempre irregolari che hanno fallito il loro progetto migratorio in Italia. Vorrebbero rimpatriare senza il marchio dell’espulsione che impedirebbe loro di rientrare in Italia legalmente per i prossimi dieci anni”.
Sulla stessa linea anche il responsabile immigrazione delle Acli, Antonio Russo: “Difficilmente decide di rientrare chi si è conquistato un permesso di soggiorno, magari dopo averlo inseguito per anni. Se non si sblocca questa situazione, al progetto aderiranno in pochissimi. Secondo noi il rimpatrio assistito si può applicare agli irregolari, così come prevede la normativa europea, ma per ora questa non è l’interpretazione del ministero dell’Interno”.
“Basterebbe un emendamento”
Al Dipartimento Libertà civili e immigrazione del Viminale cercano da mesi una via d’uscita, ma a quanto pare l’unica strada percorribile passa per il Parlamento.
“L’introduzione del reato di clandestinità, non avendo previsto una sorta di sospensione per chi lo richiede, impedisce l’adozione concreta dello strumento del rimpatrio volontario assistito, finanziato dall’Unione europea: in questa fase storica, infatti, chi ne facesse richiesta ricadrebbe nella condizione di essere denunciato” ha chiarito il 10 novembre il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento, nel corso di un’ audizione davanti alla commissione Schengen.
"Il ministro Maroni – ha aggiunto Morcone – ne è pienamente consapevole e conosce il testo di un emendamento che è già stato preparato e che troverà sicuramente tempo e modo di proporre". Finora però Maroni non ha trovato né il tempo, né il modo, e chissà se ne ha davvero voglia. Aspettando la leggina, tutto è fermo: i fondi stanziati, ma inutilizzati, gli operatori formati per non aiutare nessuno, i clandestini che tornerebbero volentieri a casa, ma sono costretti a rimanere in Italia.
Elvio Pasca