I gesuiti: "Non c'è correlazione diretta, i musulmani sono vittime collaterali degli attentati. Questa non è una guerra di religione"
ROMA – 15 gennaio 2015 – Dietro la strage di Charlie Hebdo c'è una violenza da "analizzare", per "meglio denunciarla e tentare di prevenirla. In questa riflessione, occorre innanzitutto riconoscere da dove questa violenza non viene. Non vi è correlazione diretta con l'immigrazione musulmana”.
Lo scrive la Civiltà cattolica nel numero che uscirà sabato prossimo. “Del resto – sottolinea il quindicinale dei gesuiti, che ha l'imprimatur della Segreteria di Stato vaticana – alcuni di coloro che sono partiti per fare il jihad in Siria sono francesi da generazioni, altri sono immigrati".
“Coloro che si servono di questi eventi per promuovere campagne politiche contro l'immigrazione, non soltanto manifestano una mancanza di rispetto per il lutto delle famiglie, ma anche sbagliano completamente la loro analisi. Questi attentati – ribadisce la rivista – non sono legati in alcun modo alla pratica normale dell'islam: tutti i gruppi musulmani hanno chiaramente e fortemente denunciato questi estremismi, compresi quelli dei Paesi musulmani. Del resto essi ne sono le prime vittime collaterali".
Secondo la Civiltà cattolica, "uno degli obiettivi principali di questi attacchi e' quello di far credere che siamo in piena guerra religiosa islamica, che provoca una guerra religiosa cristiana. Non si deve cadere in questo tranello, facendo il gioco dei terroristi. La strada resta quella indicata da Papa Francesco, che giustamente ha parlato di 'orribile attentato' e di 'crudelta' umana', senza pero' dare enfasi religiose".
Dopo gli attentati, "la tentazione potrebbe essere quella di trasformare le nostre democrazie in societa' poliziesche, nelle quali sarebbe generalizzato il sospetto, specialmente nei riguardi di tutti gli immigrati e di tutti i musulmani. La soluzione non va in questa direzione, ma consiste in una maggiore attenzione all'educazione nei quartieri difficili, in un sostegno alle famiglie piu' fragili, all'organizzazione delle zone urbane periferiche. Questa azione pubblica a lungo termine e' la migliore prevenzione".