L’Italia multietnica e multiculturale nei dati del Dossier Statistico Immigrazione 2016. “Numeri controcorrente” per curarsi dalle sindromi dell’emergenza e dell’invasione. La sintesi
Roma – 27 ottobre 2016 – “Le migrazioni sono la più antica azione di contrasto alla povertà, selezionano coloro i quali desiderano maggiormente riscattarsi, sono utili per il paese che li riceve, aiutano a rompere l’equilibrio di povertà nel Paese di origine: quale perversione dell’animo umano ci impedisce di riconoscere un beneficio tanto ovvio?”
Il Dossier Statistico Immigrazione 2016 (ecco la sintesi) presentato oggi in tutta Italia affianca ai suoi “numeri controcorrente” una citazione dell’economista John Kenneth Galbraith. Realizzato da Idos in partenariato con Confronti e in collaborazione con l’Unar, anche in questa edizione è una cura contro le varie sindromi da emergenza permanente che falsificano la comprensione di un fenomeno da governare meglio, ma ormai profondamente strutturale per l’Italia.
“La tesi di fondo di questa edizione, avvalorata dai dati, evidenzia che l’immigrazione non è una questione ormai superata, né una mera “invasione”, come alcuni paventano, ma un fenomeno sociale importante di cui occorre tenere contro proprio a partire dai dati statistici” scrivono nell’introduzione il presidente di Idos Ugo Melchionda e il direttore di Confronti Claudio Paravati.
Gli stranieri regolarmente residenti, se si considerano anche quelli (ancora) non iscritti all’anagrafe sono, secondo la stima del Dossier, 5,5 milioni. Per avere però un quadro fedele dell’Italia multietnica e multiculturale bisognerebbe considerare anche il milione e 150 mila cittadini italiani di origine straniera, una platea un rapido ampliamente grazie al boom di richieste di cittadinanza (178 mila acquisizioni lo scorso anno).
Demograficamente, scrivono i ricercatori dell’Idos, è infondato parlare di arrivi e presenze disfunzionali: da anni la popolazione italiana diminuisce e questa tendenza peggiorerà, i flussi migratori potranno però mitigarla. E intanto le casse dell’Inps ringraziano: lo scorso anno, gli immigrati hanno versato 10,9 miliardi di euro di contributi, pur godendo solo dello 0,3% delle pensioni.
Nel 2015 erano stranieri il 10,5% degli occupati, circa 2,359 mila lavoratori, 65mila in più rispetto al 2014. Questi gli indici principali: il tasso di occupazione tra gli stranieri è del 58,9% contro il 56,0% registrato tra gli italiani; tasso di disoccupazione 16,2% contro 11,4%; tasso di sovraistruzione 40,9% contro 21,6%; tasso di sottoccupazione 11,7% contro 4,2%.
La crisi li ha colpiti duramente. Nel periodo 2008-2015 il tasso di occupazione si è ridotto di 8,1 punti (per gli italiani di 2,1) e il tasso di disoccupazione è aumentato di 7,7 punti (per gli italiani di 4,8). Si spiegano così anche i tanti permessi di soggiorno non rinnovati: 64 mila solo lo scorso anno. Appena il 6,8% degli stranieri lavora nelle professioni qualificate, mentre il 35,9% svolge professioni non qualificate e un altro 30% lavora come operaio. In media guadagnano il 28,1% in meno degli italiani (979 euro contro 1.362 euro).
La novità di questi anni sono i flussi di profughi, non programmati, ma il Dossier ricorda come l’Italia non abbia mai avuto una programmazione efficace degli arrivi. Non si spiegherebbero altrimenti le sette regolarizzazioni varate tra il 1986 e il 2012 e i tanti decreti flussi che altro non erano se non regolarizzazioni mascherate: lavoratori già impiegati qui in nero che i datori fingevano di chiamare dal Paese d’origine per offrire loro un contratto.
I flussi misti di richiedenti asilo e lavoratori continueranno, così come persisteranno le esigenze demografiche dell’Italia. Il Dossier ritiene quindi opportuno “iniziare a considerare i nuovi venuti come possibili leve da inserire nel mercato occupazionale” e ricorda come anche secondo il Fondo Monetario Internazionale “l’accoglienza di rifugiati e immigrati, a determinate condizioni che ne prevedono l’integrazione le partecipazione alla società ospitante, può contribuire alla ripresa economica”.
Intanto i costi dell’accoglienza sono pari solo allo 0,14% della spesa pubblica (altro “numero controcorrente” rispetto alla vulgata). Per nuovi arrivati nel 2015 hanno toccato però i 3,3 miliardi di euro, il doppio degli anni precedenti. Nell’introduzione al Dossier, Melchionda e Paravati propongono di destinare quei soldi alle famiglie, selezionandole, formandole e coinvolgendole nell’accoglienza nelle loro case.
“In questo modo – scrivono – una rilevante parte delle spese da sostenere andrebbe direttamente a favore delle famiglie stesse, ma soprattutto ne deriverebbero per i nuovi arrivati benefici a livello di vitto e di alloggio, di pratica dell’italiano e di conoscenza del contesto, oltre che, per entrambe le parti coinvolte, occasioni preziose di convivenza e conoscenza”.
Scarica la sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2016
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