È cresciuta a Reggio Emilia, ma per la legge è una “staniera”. “Sono uguale ai miei compagni, vorrei rappresentare l’Italia”
Roma – 5 maggio 2015 – Alessia Korotkova, 16 anni, è una ragazza combattiva, nel senso letterale del termine.
A sedici anni è già una campionessa di taekwando. L’ultima medaglia (d’oro) l’ha conquistata qualche settimana fa in Olanda, ai Dutch Open di Eindhoven, uno dei tornei più importanti del mondo. C’è però un avversario che non è in grado di battere da sola: l’attuale legge sulla cittadinanza.
Anche se vive a Reggio Emilio da quando aveva tre anni, cioè dal momento in cui ci è arrivata insieme ai genitori, immigrati russi, non è italiana. E quindi, a meno che il Parlamento non si dia una mossa a cambiare finalmente quella legge, non potrà realizzare il suo sogno: vestire la maglia azzurra alle prossime Olimpiadi.
“Mi sento italiana e uguale a tutti i miei compagni. Non ho assolutamente nulla di diverso, ma mi pesa parecchio l’impossibilità di rappresentare l’Italia” dice Alessia al Redattore Sociale, che oggi racconta la sua storia. E non consola certo il fatto che non sia sola, ma un altro milione di figli di immigrati sia costretto a vivere da straniero nel suo Paese.
Alessia ha già vinto Coppa Italia e Campionati italiani, titoli che, se fosse italiana, le consentirebbero di entrare in nazionale e partecipare a Europei, Mondiali e Olimpiadi. Invece quel posto in azzurro andrà a chi la segue in graduatoria ma ha la fortuna di avere ereditato la cittadinanza da mamma e papà.
A poco servirà la proposta di legge sulla “cittadinanza sportiva” che sta camminando in Parlamento: prevede il tesseramento a livello agonistico, ma non l’ingresso in Nazionale. Per quello ci vuole la cittadinanza vera e chissà quanti sogni di campioni verranno infranti prima che la politica metta finalmente nero su bianco che chi cresce in Italia è italiano.
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